(Giuseppe Di Maio) – Penso sempre più spesso che gli uomini ripongano fede nelle fandonie. L’animo umano teme la realtà, la crudezza del dato sensibile che lo costringe a riflettere sulla natura delle cose e sulle relazioni che le legano; ha paura di dover elaborare previsioni a breve, medio e lungo termine, di formulare ipotesi e speculazioni che racchiudano il mondo in un ordine fondato sull’osservazione e sull’analisi dei dati, ovvero nell’unico ordine concesso dalla ragione. Ma questo processo richiede impegno: la filosofia e la scienza esigono uno sforzo che la mente umana tende a rifiutare, preferendo invece semplificazioni, mondi già svelati e previsioni già pronte, da cui derivano leggi fisiche e morali facilmente assimilabili. Una mente che, pur custodendo i germi del progresso razionale, si rifugia in sistemi mitologici e comode bugie, attraverso cui scarica i suoi impulsi irrazionali: paura, rabbia, invidia, ira, gelosia. È così che diventa preda di narrazioni ingannevoli, delle chiacchiere di imbroglioni di mestiere che hanno compreso quanto possa essere fragile l’animo umano, quanto sia incline ad accogliere favole prive di senso purché gli restituiscano una parvenza di ordine speculativo e un’illusoria comprensione del mondo. È in questo modo che l’uomo si dispone a compiere atti nefandi, contrari ai propri interessi e alla propria sopravvivenza. E, come nel mito della caverna, quando uno di noi ci avverte dopo aver faticato per scoprire la realtà, per strapparle il “velo di Maya”, viene accusato di ingannare per interesse, viene tacciato d’incapacità, poiché le sue indicazioni ci obbligano a lavorare, distruggono le comode illusioni e le deliziose speranze dispensate dai nostri veri aguzzini.