Servirebbe introdurre il voto da remoto o perlomeno abbassare il quorum. Dovrebbe farlo la maggioranza di governo. Invece no, tutti zitti e mosca. I nostri governanti s’appellano al popolo ma sotto sotto ne hanno paura

(di Michele Ainis – repubblica.it) – Cinque referendum dietro l’angolo, ma non lo sa nessuno. Zero informazioni sulla Rai, zero virgola sulle tv private, sulle radio, sui giornali. Ed ecco allora la notizia: li voteremo — o almeno dovremmo — l’8 e il 9 giugno, fra un mese. In coincidenza con il secondo turno delle amministrative, che coinvolgono 461 Comuni.
E perché non, invece, il 25 maggio, insieme al primo turno? Ovvio: perché il primo turno, storicamente, è sempre più affollato. Hai visto mai, qualche elettore in più potrebbe scoprire la notizia e magari deporre nell’urna la sua scheda.

Ma in realtà tutta la storia di questo istituto di democrazia diretta è scandita da ostacoli e trucchetti. E tutti i governi, di destra o di sinistra, di centro o di lato, ne hanno sempre sabotato l’attuazione. Non a caso gli italiani dovettero attendere un quarto di secolo prima d’incassare la promessa dei costituenti (la legge istitutiva è del 1970, il primo referendum fu celebrato nel 1974).

Da allora in poi il voto popolare è stato frodato ripetutamente, come nel caso della consultazione sul finanziamento pubblico ai partiti (abrogato nel 1993 dal 90% dei votanti, ma subito riesumato sotto mentite spoglie dai partiti). È stato confiscato, ricorrendo allo scioglimento anticipato delle Camere pur di rinviarlo alle calende greche (accadde nel 1972, nel 1976, nel 1987, nel 1994). Infine è stato prosciugato, organizzando l’astensione per fare mancare il quorum di validità del referendum (celebre il caso della fecondazione assistita nel 2005).
Risultato: dal 1997, con la sola eccezione dei referendum del 2011 per l’acqua pubblica e contro il nucleare, non si è mai più raggiunto il quorum. E 30 consultazioni referendarie sono saltate l’una dopo l’altra. Del resto, quando un elettore su due diserta ormai le urne, per i nemici del referendum non c’è più bisogno d’organizzare l’astensione.

Non serve invitare gli italiani ad andarsene al mare, come fece Craxi nel 1991. O magari in chiesa, come consigliava il cardinal Ruini nel 2005. È sufficiente tacere, non muovere foglia. Confidando, oltre che nell’apatia degli elettori che vivono in Italia, nei 5 milioni d’italiani residenti all’estero, che sui referendum non vanno mai a votare.
E ringraziando a bassa voce la Consulta, che negli ultimi tempi si è incaricata di tagliare le spine più pungenti, i quesiti maggiormente popolari. L’ha fatto nel 2022, dichiarando inammissibili le domande referendarie sulla cannabis e sull’eutanasia. L’ha rifatto anche quest’anno, disinnescando il quesito sull’autonomia differenziata, esplosivo come una bomba sul governo.

Sicché va in scena la congiura del silenzio. Imbastita con il favore dei prefetti, artefici d’una circolare rivolta alle scuole e alle amministrazioni pubbliche, per vietare ogni attività d’informazione (in base alla distorta applicazione di una legge del 2000). E giustificata con l’ipocrita argomento di non voler interferire sulle scelte del popolo sovrano.
Ma non è così, non è questa la grammatica della democrazia. Perché l’astensionismo elettorale costituisce viceversa il suo veleno, come ha ricordato Mattarella il 25 aprile. E perché i referendum, insieme al voto politico e amministrativo, sono lo strumento che i costituenti ci hanno elargito per contare, per farci valere. Dopotutto la prima Repubblica fu battezzata da un referendum (nel 1946). E un altro referendum (nel 1993) ha schiuso i battenti alla seconda. Se questo istituto adesso è in crisi, significa che è in crisi il nostro stesso sistema democratico.
Eppure la Cgil ha depositato un milione di firme in Cassazione — il doppio di quelle necessarie — per i quattro quesiti sul lavoro. E la sottoscrizione online ha fatto volare le adesioni al referendum sulla cittadinanza.
Servirebbe introdurre il voto da remoto, o perlomeno abbassare il quorum alla percentuale effettiva dei votanti nelle ultime politiche, per rivitalizzare il referendum. Dovrebbe farlo la maggioranza di governo, mentre farnetica di democrazia diretta attraverso il premierato. Invece no, tutti zitti e mosca. I nostri governanti s’appellano continuamente al popolo, ma sotto sotto ne hanno una gran paura.
Un paio di osservazioni
La prima: non è vero che non lo sa nessuno, a cominciare dai lettori di repubblica che almeno da oggi lo sapranno.
Sicuramente lo sanno quel milione di firme che la CGIL ha raccolto.
Il fatto che la stampa di regime non ne abbia parlato non vuol dire che non si sappia, vuol dire che è poco “pubblicizzato”.
La seconda: la corte costituzionale quando respinge i referendum lo fa con delle motivazioni; uno è libero di condividerle o meno; sarebbe corretta informazione dire il perché la CC ha dichiarato inammissibili i referendum citati; così come è scritto sembra che la corte abbia fatto più un arbitrio che un atto di legge; il tutto per fare un favore alla componente di maggioranza di questo governo.
Stando al referendum sull’autonomia differenziata il referendum è stato rigettato perché la stessa corte tempo prima, con sentenza 192/2024, aveva dichiarato illegittimi diversi punti della legge sull’autonomia differenziata; quindi a che serve il referendum su una legge che era stata stravolta visto che quella originale, su cui avrebbe dovuto basarsi il referendum, era stata scritta, tanto per cambiare, col kulo?
Data la relativamente forte valenza politica che questo referendum ha, il governo cerca di sabotarlo come meglio può promuovendo l’astensionismo e questo lo si fa anche non informando.
Ma tra non informare e non sapere c’è una bella differenza.
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Riflessioni modeste, di visione miope e un pò noiosette, inaspettate da Ainis.
1) Intanto referendum impostati male da Landini e amici ( forse per perdere ma dicendo ci sono ancora, ci ho provato, è colpa di qualcun altro ). Assente un quesito sul salario minimo ( boicottato da Cgil e PD quando si poteva fare e acquisito adesso in funzione antimeloni che tanto non si può fare ) che forse avrebbe reso più vivace l’appuntamento. Aggiungere il quinto testo radicale sulla cittadinanza a 5 anni è un pessimo modo di affrontare una questione importante. Farà perdere qualche votante in più.
2 ) Serve l’election day, quello serio, quello vero: ad esempio si vota una sola volta all’anno qualunque cosa si debba votare (dalle comunali e regionali alle politiche o europee ) in una data fissa, ad esempio a settembre a ridosso delle scuole che aprono e delle ferie finite o a fine aprile. ( negli ultimi tre anni ci sono votazioni all’incirca 12-13 volte all’anno). Ma l’election day non lo vuole ne dx ne sx perchè avremmo 4-5 milioni di votanti in più ( e chissà cosa voterebbero !) . D’altronde se una penosa minoranza di cdx domina il campo nel nostro paese è perchè la cosiddetta sinistra è più penosa di loro.
3) Ci mancherebbe ancora abbassare i quorum ( per i referendum come per le regionali o gli uninominali ). Così si ridurrebbero ad andare a votare in tre e chi ne prende due ” trionferebbe” come rappresentante degli italiani.
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