La leader di FdI era un modello per le destre, ma ora corre un rischio. Essere la foglia di fico che copre movimenti euroscettici o filorussi

Simion, Fico e gli altri: l’Europa si melonizza

(FLAVIA PERINA – lastampa.it) – «Faremo come Giorgia Meloni» dice George Simion, che si sente già presidentissimo della Romania (il ballottaggio è il 18 maggio, lui è favorito assoluto) ma non si capisce con esattezza cosa intenda perché nella stessa intervista precisa che voterà contro il riarmo europeo e che resta del tutto critico sugli aiuti all’Ucraina, dove non può neanche entrare perché messo al bando. Dunque, sulle questioni spartiacque del momento, Simion sembra assai più vicino all’Ungheria di Viktor Orban che all’Europa di Ursula von der Leyen o all’Italia di FdI, la quale seppure con molti contorcimenti il Rearm Eu lo ha votato e continua a sostenere con forza Kiev. Il problema, a questo punto, è tutto nostro, italiano, con un rischio evidente: che il modello Meloni diventi la foglia di fico di movimenti e partiti dall’ossatura euroscettica se non addirittura anti-europea, votati a cause divergenti dai nostri interessi e dalle nostre relazioni con i Paesi fondatori dell’Ue.

Entro fine mese Simion potrebbe diventare il quarto capo di Stato del gruppo dei Conservatori a sedere nel Consiglio Europeo, l’organo che definisce le priorità dell’Unione. La prima è stata Giorgia Meloni, si è regolata come sappiamo, tacitando le pulsioni sovraniste del suo partito e trovando un accordo solido con la Commissione. Sulla stessa strada il premier belga Bart De Wever, capo di una coalizione disparata (dai liberali ai socialdemocratici) e quindi obbligato a scartare l’estremismo, così come il ceco Petr Fiala, che governa insieme ai liberali. Ma l’arrivo di Simion introduce elementi dirompenti. Solo tre giorni fa si è presentato ai seggi con Calin Georgescu, il campione filo-putiniano escluso dal voto per una brutta storia di finanziamenti occulti e ingerenze russe, e ha dichiarato di volerlo primo ministro. Le sue affermazioni sull’Europa da sempre echeggiano quelle del presidente slovacco Robert Fico, uno che sarà a fianco di Vladimir Putin nella grande parata militare del prossimo 8 maggio sulla Piazza Rossa. Oggi si giura trumpiano, definisce Mosca criminale, elegge l’Italia a suo modello: ma davvero?

I conservatori italiani si sono alquanto congratulati con la nuova star rumena e si dice che già pregustino il rafforzamento della loro formazione nel prossimo Consiglio europeo. Ma forse non è tutto oro quello che luccica, per due motivi. Il primo: la destra italiana in Europa ha beneficiato finora della sua condizione di unicità. Era la singola forza su cui Ursula von der Leyen ha puntato per mostrare apertura al mondo conservatore, senza peraltro esserne troppo impensierita, ma gli atteggiamenti potrebbero cambiare se avanzasse il sospetto che il melonismo diventi maschera di una riorganizzazione euroscettica. Il secondo è la nuova percezione di emergenza che si vive nel cuore dell’Ue, in Germania, dopo il recente rapporto dei servizi segreti che ha classificato Alternative fur Deutschland come partito “non compatibile con l’ordine democratico libero”. Le conseguenze politiche dell’indagine non sono ancora certe, Afd ha presentato ricorso per spiegare le sue ragioni, ma è evidente che il tifo americano per la vittoria della formazione – con i ripetuti endorsement del vicepresidente J. D. Vance e di Elon Musk – hanno assunto un valore sinistro. Gli ultras trumpiani d’Europa, a cominciare da Simion, non sono più visti come innocui imitatori di un Presidente esagerato ma cominciano a somigliare a quinte colonne di un vero progetto di destabilizzazione.

Poi, ecco, è possibile che il «faremo come Giorgia Meloni» del nuovo leader della politica rumena significhi: cambieremo strada, cercheremo l’intesa con la maggioranza europea, rinunceremo al programma elettorale fondato sull’annessione di una parte di Moldova e di una parte di Ucraina (a causa del quale Simion è da anni bandito da Chisinau e da Kiev). Ma in caso contrario, se diventasse Presidente portando con sé il minaccioso circo dell’alleato Georgescu, dove scintillano pure ex mercenari del gruppo Wagner, o se confermasse l’intenzione di rappresentare il trumpismo in purezza, sarebbe meglio raffreddare gli entusiasmi. La destra italiana alla ricerca di rapporti privilegiati con Berlino, interessata a cogestire la partita dei dazi con Bruxelles, attenta a non sembrare lo sponsor europeo dei Maga, avrebbe più da perdere che da guadagnare dall’essere citata come ispirazione da questo tipo di alleati.