Ritorna in Europa l’idea che un’etichetta possa estromettere forze politiche dal dibattito pubblico. È successo con Georgescu in Romania, in Francia con Le Pen, ora tocca alla Germania

(di Marco Tarchi – ilfattoquotidiano.it) – Che la guerra delle parole sia parte integrante della lotta politica non è certamente una novità.
Non c’è bisogno di citare per l’ennesima volta Machiavelli per ricordare che attentare alla reputazione degli avversari è un espediente decisivo per raggiungere o mantenere una posizione di potere: già nell’antichità, e alle più diverse latitudini, la cosa era nota e teorizzata dagli autori dei trattati in materia. Che questo dato sia ancora più vero nell’epoca attuale, dove la comunicazione la fa da padrona nel conflitto per la conquista del consenso, non ha niente di che stupire. Al tempo dei social, le parole, gli epiteti e le etichette uccidono più che mai. O perlomeno feriscono, azzoppano, mettono fuori gioco. Alcune più di altre.
“Estrema destra” è, da questo punto di vista, una delle formule più efficaci. Lo è sempre stata, in primo luogo perché include l’accusa di estremismo, da sempre evocatrice di turbe caratteriali, pericolosità e propensione alla violenza, e poi perché, dal 1945, si accompagna al sospetto di più o meno celate nostalgie per le diverse espressioni dell’ideologia fascista. E lo è tuttora, a ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, tanto da essere diventata una delle espressioni più ricorrenti nel dibattito giornalistico come in quello accademico. Incollarla addosso a un soggetto significa, almeno nelle intenzioni di chi ci prova, metterlo in imbarazzo, costringerlo sulla difensiva e delegittimarlo. E, come le cronache recenti ci dimostrano, talvolta estrometterlo direttamente dal terreno di gioco.
Non sorprende, infatti, che prima in Romania, poi in Francia e adesso in Germania la scure di provvedimenti politico-giudiziari si sia abbattuta – in forme diverse ma convergenti – su esponenti di partiti che gli avversari, e una gran parte dei commentatori, collocano nella sulfurea categoria dell’estremismo di destra, e che, al di là delle non poche differenze, presentavano la caratteristica comune di essere in testa, secondo tutti i sondaggi, nelle preferenze degli elettori. A prescindere dal diniego degli interessati, e in due casi su tre su diretta iniziativa dei servizi segreti dei rispettivi paesi, l’assegnazione alla malfamata famiglia è bastata a giustificare provvedimenti che, se fossero stati applicati a qualunque altra formazione politica, avrebbero suscitato scandalo e vivaci proteste e non le flebili “riserve” di Bayrou e Scholz.
Quello che più colpisce un osservatore non prevenuto è che, anche di fronte alla clamorosa notizia della “messa sotto osservazione” dell’Alternative für Deutschland, nessun operatore dei media si sia chiesto quali concreti elementi consentano di definire un partito “di estrema destra” e pertanto di ritenerlo un pericolo per l’ordinamento democratico. Ci sono a suo carico comprovati atti di violenza? Un’organizzazione paramilitare? Progetti eversivi? Dichiarazioni tendenti a negare la legittimità delle istituzioni vigenti?
Niente di tutto questo emerge dalle accuse che hanno consentito di vietare a Calin Georgescu di vincere l’elezione presidenziale, o quantomeno di poterci (ri)provare e che adesso minacciano di sottrarre ad AfD il finanziamento pubblico cui il 20% dei voti raccolti alle recenti Legislative le dà diritto e autorizzano l’agenzia di spionaggio governativa a reclutare informatori (o provocatori?) per tenere “sotto monitoraggio” le sue attività quotidiane, in vista di una possibile proposta di scioglimento. La convinzione che AfD costituisca un pericolo per l’ordine democratico si fonda esclusivamente sulle idee che il partito esprime, e più particolarmente quelle che riguardano la sua radicale avversione all’immigrazione di massa. Oltre all’ormai endemica insinuazione sulle sue non dichiarate simpatie per la Russia di Putin.
Questo aspetto del rapporto dell’“Ufficio per la protezione della Costituzione” è particolarmente illuminante, là dove porta ad affermare che una “visione del popolo basata su criteri etnici e di discendenza è incompatibile con l’ordine democratico liberale” giacché mirerebbe “ad escludere determinati gruppi di popolazione dalla partecipazione paritaria alla società e a sottoporli a discriminazioni”. Va notato che nessuna di queste intenzioni è rilevabile dai documenti e dai programmi del partito, né dalle dichiarazioni pubbliche dei suoi esponenti, che si sono spinti solo al punto di sostenere la remigrazione, cioè il ritorno forzato nei paesi d’origine degli immigrati che abbiano subito decreti di espulsione o di quelli fra loro che, pur avendo acquisito la cittadinanza, si siano macchiati di gravi delitti. Lo stesso provvedimento auspicato in Francia dal partito Identité-Libertés di Marion Maréchal, alleato dei conservatori di Giorgia Meloni all’europarlamento.
Opporsi all’immigrazione equivale dunque, per il Bfv, a “violare la dignità umana”. Una tesi che è comprensibilmente in voga negli ambienti della sinistra radicale – con la rilevante eccezione della Bsw di Sahra Wagenknecht, che è di parere opposto – ma che sorprende veder coltivata dalla centrale di spionaggio tedesca. La quale sostiene anche che questa posizione “alimenta paura e rigetto irrazionali” nei confronti degli stranieri e sfocia nell’attribuzione a essi “di una presunta inclinazione alla violenza fondata su criteri etnico-culturali”, che “si manifesta anche nell’uso generalizzante di termini come migranti con il coltello”.
Che questa forma di pregiudizio sia diffusa fra gli elettori dell’AfD, come fra quelli della Lega, del Rassemblement national o di analoghe formazioni sparse in tutta Europa è difficilmente negabile. Ma è un dato di fatto che essa non è stata creata ad arte sul nulla, e proprio per questa raccoglie un vasto consenso nell’opinione pubblica di molti paesi, Germania e Francia in testa, turbata e a volte sconvolta dal succedersi di atti criminali che hanno per protagonisti immigrati, spesso provenienti da paesi di cultura islamica e soggetti a processi di radicalizzazione. Mettere fuorilegge i partiti che da questo turbamento raccolgono cospicui frutti elettorali non allevia il disagio di coloro che lo provano, ma semmai lo esaspera, minacciando di far degenerare la protesta espressa nelle urne in reazioni incontrollate e violente.
La vicenda dell’AfD, come altre precedenti, ripropone non il tema, inesistente ed evocato in funzione strumentale da avversari a corto di argomenti, di una rinascita attraverso l’estrema destra delle “ombre nere del passato”, ma quello dei motivi della costante ascesa del populismo. Che non è il risultato della propaganda di improvvisati demagoghi, ma la conseguenza dell’incancrenirsi di disagi sociali di lunga durata, a partire da quello che Luca Ricolfi ne Il follemente corretto (La nave di Teseo) ha di recente indicato come “il problema, sempre lo stesso: la diffidenza verso gli immigrati, visti nella duplice veste di minaccia alla sicurezza e di pericolosi concorrenti sul mercato del lavoro e nell’accesso ai servizi sociali”, un problema che “la cultura progressista non vede e non vuole vedere”, preferendo “esorcizzarlo in tutti i modi concepibili”.
È questa cecità, estesa a quasi tutti i partiti tradizionali, che ha fatto crescere i consensi populisti, sino al punto di mettere in discussione persino l’asse bipolare che praticamente da sempre governa e mantiene stabile il sistema britannico. Il successo del Reform UK di Nigel Farage, asceso al 30% dei consensi alle elezioni locali del primo maggio, ottenuto a spese soprattutto dei conservatori ma anche dei laburisti, rischia di non essere un fuoco di paglia ed è un segnale da non trascurare. Pensare di scongiurare questa sfida a suon di scomuniche e squalifiche è una strategia che non paga. Almeno fino a quando ai cittadini sarà lecito esprimere le proprie opinioni con un voto.
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Per comodita’ di ragionamento ed argomentazione, si fa finta di non sapere che “…Il reato contestato è appropriazione indebita attribuito a ben 25 volti del Rassemblement national (Rn), nuovo nome dell’ex Front national (Fn) fondato dal “patriarca” Jean-Marie Le Pen, il padre (scomparso a inizio anno) di Marine: nel complesso, un nuovo caso di fondi stornati dell’Europarlamento, 2,9 milioni usati, nel quadro di un «sistema» per le spese di partito e non per preparare le sedute degli europarlamentari “. ( Avvenire ) Reato per il quale il partito stesso della Le Pen aveva chiesto provvedimenti ancora piu’ severi per gli eventuali colpevoli….
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Provassero a chiedersi perchè la gente va contro l’UE, sempre di più. Invece annullano elezioni, creano ammucchiate e danno del fascista a chiunque non voti chi piace a loro. Poi però si lamentano se l’astensione cresce.
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Basti vedere quel che è successo l’estate scorsa, quando per settimane l’UK è stata devastata alle proteste ‘xenofobe’ dopo la strage di 3 bambine accoltellate da un pazzoide (nato in UK ma con genitori immigrati dall’Africa). A seguire repressioni inedite in UK, centinaia di arresti, persino un bambino di 12 anni.
In Irlanda, la popolazione si ribella alle recenti politiche di accoglienza di molti migranti, ma viene repressa con la forza della polizia anche se si tratta di manifestazioni pacifiche.
In Svezia, tanto per dirne un’altra, ci sono circa 60 zone dove lo stato svedese non è nemmeno capace di garantire la propria presenza, grazie ai tanti migranti di cui è ‘rasssismo temere l’arrivo’.
In Germania, già dimenticati evidentemente gli stupri di massa alle feste di capodanno in anni recenti? E indovinate chi era che molestava le donne tedesche?
E noi in Italia a scandalizzarci per la manata sul qulo a Greta Beccaglia, non so se vi ricordate.
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