Alle prossime Politiche, Giorgia Meloni intende ricandidarsi a Palazzo Chigi e subito una domanda sorge spontanea: perché non dovrebbe farlo? Nei sondaggi il partito meloniano […]

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – Alle prossime Politiche, Giorgia Meloni intende ricandidarsi a Palazzo Chigi e subito una domanda sorge spontanea: perché non dovrebbe farlo? Nei sondaggi il partito meloniano si è da tempo attestato intorno al 30 per cento con la popolarità della premier che svetta sugli alleati Salvini e Tajani, sempre più in dimensione cespugli. Quanto all’opposizione il suo costante procedere dalla sconfitta del 2022 testardamente disunita è un fenomeno politico che con il passare del tempo va consolidandosi. Con il che è difficile ritenere che la rivalità elettorale tra Pd e 5stelle, sempre più strutturale, possa magicamente ricomporsi nei tempi utili per realizzare una seria e vincente alternativa di governo. Per non parlare del reparto guastatori: Matteo Renzi e Carlo Calenda che marciano divisi per colpire uniti. Soprattutto se i loro numeri, seppur modesti, dovessero risultare decisivi, come è probabile, al momento dello sprint tra centrosinistra e destra.

Un test sulla salute dell’opposizione lo avremo l’8 e il 9 giugno prossimi quando gli italiani saranno chiamati a esprimersi sulle quattro proposte di referendum abrogativo proposte dalla Cgil. A cominciare dal ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che impedisce di reintegrare i lavoratori assunti dopo il 2015 in caso di licenziamento illegittimo. A sinistra si è consapevoli di quanto sia difficile raggiungere il quorum della metà più uno degli aventi diritto al voto in una fase di forte disimpegno dell’elettorato. Purtuttavia se, anche senza quorum, questi referendum registrassero un’ampia percentuale di Sì, ciò darebbe indubbiamente impulso all’azione sindacale di Cgil e Uil (la Cisl ha da tempo scelto una posizione fiancheggiatrice del governo). Molto più a rischio il referendum di Più Europa che vuole consentire ai cittadini stranieri (leggi gli immigrati) di ottenere la cittadinanza italiana in tempi più brevi. Una classica proposta boomerang che in caso di sconfitta sonora rischierebbe di avere l’effetto opposto. Con la destra, Salvini in testa, che a quel punto potrebbe cantare vittoria e pretendere altre strette sull’immigrazione. A sinistra, i professionisti del piagnisteo si stracciano le vesti accusando i regimi illiberali (l’America di Trump, l’Ungheria di Orbán), il pericolo neonazista di Afd in Germania denunciato dai servizi segreti, l’avanzata in Inghilterra dell’estremista antieuropeo Farage. Un contesto, affermano, fortemente antidemocratico (seppure frutto di libere elezioni) che sarebbe completato da un Meloni bis. Mai che questi professionisti dell’apocalisse (perfettamente integrati nei giornali e nei talk-show) facessero un minimo di autocritica. Per esempio, sull’assenza di pensiero oggettivo di fronte all’“abbaiare” della Nato ai confini della Russia (Papa Francesco docet). O sulla scellerata strage della popolazione di Gaza a opera del governo Netanyahu. Molto più semplice gridare al lupo contro la “fascista” della Garbatella.