(di Antonello Caporale – ilfattoquotidiano.it) – Un misterioso morbo attacca lo share dei talk, lo infilza e infine lo stende. L’uomo o la donna, il parlamentare di destra come di sinistra, luogotenente, consigliori o – peggio – devoto parolaio spicciafaccende, se chiamato a dire la sua davanti alle telecamere è in grado di rovinare una trasmissione e deprimere la già modesta platea degli affezionati, in genere over 50. Se ne sono accorti per primi a La7. Lilli Gruber evita con pignola ossessione il politico di turno da quando ha capito che l’assenza premia l’audience. Otto e Mezzo sta toccando vette insperate visti i tempi di miseria: il 9 per cento, facendo parlare di politica solo coloro che non esercitano, diciamo così.

Come Nutella senza nocciole, la tv svuotata di politici di professione, eletti e nominati, è stata la soluzione a cui Corrado Formigli, un altro della squadra di Umberto Cairo, piano piano va allineandosi. Piazzapulita è territorio avverso – tranne eccezioni – dei leghisti, indiscutibilmente lontana anche dai Fratelli d’Italia e perciò negata alle migliori firme di Giorgia. “I politici abituati al balconcino digitale, alla disintermediazione, cioè parlare senza ascoltare, comiziare con la filastrocca imparata a memoria, risultano inidonei ad affrontare un pensiero critico, una domanda scomoda, un’inchiesta che possa metterli in difficoltà. Piatti e insicuri. Detto con una parola: flosci. Tolti i leader, quasi sempre questi qua sono una delusione”. Quindi? “Quindi mi tengo felicissimo i miei commentatori”.

Chi sta a casa ha bisogno di un pensiero non di un comizio, dice Formigli, e i partiti non hanno pensatori ma “propagandisti che non attaccano la questione anzi divorano spietatamente ogni logica”. Se La7 oppone in linea di massima il rifiuto delle seconde linee, e Giovanni Floris con DiMartedì dimostra che è possibile addirittura convertire in opinionisti i politici di ieri, come Pier Luigi Bersani, pur di non dare la parola all’oggi inconcludente, alla Rai non è concepibile e nemmeno possibile l’ostracismo. E allora, con circospezione e tatto, si tenta di ridurre l’impatto negativo di quelli là restringendo il tempo di presenza negli studi. Così ad Agorà (Rai3), mattinale quotidiano della politica televisiva, i bla bla sono chiusi dentro un recinto di una ventina di minuti, come un Pic indolor. Uno a destra, uno a sinistra e poi finalmente si passa alla trasmissione, cioè alle cose serie: cronaca, costume, la vita vera. Ne gode lo share con le sue risalite dopo le discese imposte dal Palazzo. Da Bruno Vespa, padrone indiscutibile nei secoli dei secoli, quarta o quinta Camera della Repubblica e vattelapesca cos’altro, nessuno è mai mancato e Porta a Porta è ormai monarchia assoluta. “Da me tutti i leader, naturalmente. Ci passano e si vede. Il nostro è anche un obbligo istituzionale, ahimè, e certo la qualità a volte non eccelle e lo share ne risente. Io punto sempre alla prima linea del governo o dell’opposizione, al protagonista assoluto, ma certo l’attenzione non è come un tempo. Avevo Berlusconi e prima di lui Craxi, Andreotti, Berlinguer, chiaro che…”.

Nel palinsesto il monarca Vespa è sospinto verso la terza serata, a volte la tarda notte, perché gli anni passano e anche gli spettatori, per via dell’artrosi da poltrona, sembrano stufi. Pierluigi Celli, direttore generale della Rai al tempo ormai lontano dei cosiddetti “professori”, chiama Vespa “il maresciallo Biendias nella sua versione estrema di menestrello delle grazie e dei miracoli della Regina Giorgia”. TeleMeloni e basta!

“Guarda Trump: un giorno dice una cosa, un giorno un’altra. Mi accorgo con i miei titoli su Dagospia che un giorno scrivo A e dopo qualche ora ho necessità di correggere e cambiare verso. Questo pensiero molle, occasionale, doppio, corrotto nella logica, cosa vuoi che produca in chi ascolta? Disaffezione, incredulità e anche un po’ di incazzatura. Perciò la domanda: voglio ascoltare qualcuno che sappia di economia non quel casinaro di Trump o i vertici di un tempo inaffidabile, sconclusionato”. È Roberto D’Agostino, il segnapassi dei sotterranei di Montecitorio, delle vergogne e delle vanità di chi approda al potere e poi ne resta inzaccherato. “I politici contemporanei? Tranne rarissime eccezioni è gente senza storia, senza alcuna lode. È gente scarsa, è vuoto tecnico o al meglio bolla che si perde nel cielo al primo colpo di vento. Modestamente il Palazzo è raccontato a meraviglia dai due volumi, che ormai hanno qualche anno, di Cafonal (rassegna imperdibile di Dagospia), con le fotografie di Umberto Pizzi”. Bocche storte, supplì ingollati, reggiseni divelti, occhi penduli e mani e cravatte e minigonne. Il registro appunto dell’età volgare, metà carne e metà pensiero, termometro dello stato delle cose.

“A me il politico interessa e ancora ce l’ho in trasmissione. Lo tengo per 40 minuti, in un programma che parte dopo le 9 di sera e finisce oltre l’una di notte”. Così Bianca Berlinguer, che a Mediaset fa da zona franca dentro il recinto retequattrista del talk sdraiato a destra. “L’unica mia accortezza è di accompagnare sempre il politico con un commentatore, una voce critica che stabilizzi, riduca l’enfasi, accerti l’esagerazione o – peggio – la bugia”.