La premier con Trump aggira gli argomenti divisivi. Ma sull’Ucraina tiene il punto: «L’aggressore è Putin»

(Flavia Perina – lastampa.it) – Giorgia Meloni è (anche) una leader fortunata.
Arriva alla Casa Bianca in una delle rare “giornate sì” di Donald Trump, sorridente e amichevole persino con la Cina, che l’altroieri era il nemico assoluto da mettere in ginocchio e ieri è diventata possibile partner di un «ottimo accordo».

Giorgia Meloni è (anche) una leader furba: incassa le lodi sperticate del presidente americano ma evita di ricambiare la cortesia con aggettivi di devozione iperbolica e scansa così l’effetto «Kiss my ass» su cui l’opposizione è pronta ad azzannarla e gli esportatori italiani a disconoscerla.
Giorgia Meloni è (anche) una leader prudente. In entrambi i flash pubblici dalla Casa Bianca lascia il ruolo di protagonista al presidente Usa e sfrutta al meglio l’effetto del total white che ha scelto per l’incontro, accentuando il richiamo simpatizzante della donna sola in mezzo a una schiera di uomini incravattati e grigi.

I quindici minuti pubblici del bilaterale con Trump erano la parte più temuta della visita alla Casa Bianca, visti anche i due micidiali precedenti: l’umiliante trattamento riservato a Volodymyr Zelensky e il teso botta e risposta con Emmanuel Macron sull’entità dei sostegni europei all’Ucraina.
Ma forse pure per il presidente americano è arrivato il momento di mettere in mostra i suoi amici (sui nemici si è già capito tutto), e allora: chi meglio dell’Italia, che in fondo piace a tutti? Chi meglio di Meloni, la «nazionalista dell’Occidente», come lei stessa azzarda, coniando una definizione che avrà senz’altro un futuro nel dibattito politico? Il trattamento a cinque stelle riservato alla premier italiana nella parte visibile, pubblica, della missione si spiega anche così. Poi, sul colloquio vero e lontano dai riflettori, capiremo meglio domani.

Ore 19.43 (molti minuti di ritardo rispetto al programma). Studio Ovale. Divani affollati. Nella diretta tv la poltroncina della premier nei primi minuti è impallata da qualcuno, e tuttavia si intravede il suo sorriso mentre ascolta la presentazione entusiasta di Trump.
Grande onore, ottimo lavoro, leader rispettata, amica, ottimo rapporto personale, persona speciale, eccezionale, grande onore di nuovo. Lei ricambia in scala minore: ha scovato un collegamento tra la giornata e Cristoforo Colombo, che proprio il 17 aprile firmò l’accordo di finanziamento per il viaggio delle Caravelle.
Parte da lì per elencare gli elementi di sintonia con l’America trumpiana, dalla «lotta contro le ideologie del passato» a quella al Fentanyl e all’immigrazione illegale. Parla in inglese, consulta ogni tanto gli appunti, e passerà all’italiano solo nel momento più ad alto rischio dell’incontro, quando le viene chiesto conto dell’Ucraina, del rapporto con Zelensky e della versione trumpiana su Kiev responsabile della guerra.

Attimo fatale, risolto con abilità perché Meloni ribadisce che nella sua visione è chiaro che c’è stata un’invasione e la Russia di Putin è l’invasore ma consente a Trump di sperticarsi in lodi per la musicalità linguistica («Bellissimo, suonava benissimo, che ha detto?») e di aspettare la traduzione.
La premier interromperà l’interprete quasi subito, ritornando all’inglese e portando il discorso lontano da Kiev, sui lidi meno pericolosi dell’incremento delle spese militari fino al due per cento. Una prova da vera funambola.
Meloni è (anche) una premier flessibile. Nel suo intervento di apertura e nelle sue risposte la parola dazi neanche c’è (diventano «alcuni disaccordi»), il caso Starlink viene evitato («non se ne è parlato») e ogni argomento divisivo viene aggirato con cura.

La pace sarà giusta, l’Occidente di nuovo grande, l’Italia è nazione seria e stabile. L’Europa è citata appena di sfuggita. Sa come blandire Trump, «approfitto dell’occasione, lei è un grande imprenditore e mi capisce».
Gli fa scudo quando qualcuno domanda degli europei parassiti: «Non l’ha mai detto». Grandi sorrisi. Complicità. E pure il presidente americano collabora all’operazione simpatia rinunciando ai toni provocatori e tonanti ai quali ci ha abituato: un Trump amicone non solo di Meloni ma di tutti, chi l’avrebbe immaginato. Gran finale. «Italia miglior alleato Usa in Europa, ma solo se Meloni resta premier».

Evvai, è andata. Ora tocca a J.D.Vance, ma dopo queste due ore sarà una passeggiata.
E adesso via allo scontro tra tifoserie: viaggio fallimento completo, viaggio trionfo storico…Tutto e’ rapportato alle vicende elettorali locali , sempre. E’ il provincialismo conclamato.
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ebete,
la conclusione è che ha firmato contratti di acquisto armi e gas dall’merica.
un vero trionfo per il commerciante Tromp
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Quindi anche El Pais, Le Monde, Guardian sono provinciali, eh? Uomo di mondo? Nulla di concreto, flop, solo vaghe promesse. Questi i titoli dei principali giornali europei che tu, uomo di mondo e per nulla schierato, avrai senz’altro letto. Perché mica leggerai solo Libero e il Tempo, vero?
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“La premier interromperà l’interprete quasi subito, ritornando all’inglese e portando il discorso lontano da Kiev“
Ricordiamo che è la stessa persona che ha avuto la faccia tosta di affermare che mai aveva parlato di “vittoria dell’Ucraina”.
Mo’ fa pure lo switch tra inglese e italiano + interruzione dell’interprete.
Che squallore.
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CAFONACCIO BURINO, certe espressioni riservale ai tuoi parenti od amici. Sei hai delle frustrazioni da sfogare , rivolgiti alle strutture competenti per farti aiutare. TSO.
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Questa giornalaiO, deve avere la lingua di un camaleonte…
Non giravano più mosche alla casO biancO.
Strano non abbia pescato qualcuno qui presente.
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«Bellissimo, suonava benissimo, che ha detto?»
Ragazzi, non so voi, ma a me Trump con queste battute sta per forza di cose simpatico. Sembra Hot Shots 2 dove il ruolo del presidente lo faceva Lyoid Bridges.
Ps ma quanto è bassa la Melona: pure con il tacco a 24 non arriva alla spalla di Trumpone.
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