
(Stefano Rossi) – Oggi si apprende che la Bialetti cede il controllo societario ad un fondo cinese per essere poi venduta definitivamente.
Se ne va uno degli ultimi marchi storici del design italiano che ha conquistato il mondo.
Anche al Moma sono esposte alcune moke Bialetti.
Io sono uno di quelli che resiste a fare il caffè con la moka Bialetti, da sempre.
Mi rifiuto di bere dai pitali di plastica che hanno invaso il pianeta.
Sere fa sentivo la giornalista Giovanna Botteri ammettere che ha un’auto piuttosto vecchia. Nello studio si è levato all’unisono l’urlo di chi le rinfacciava di inquinare.
Sicuro che son tutti bevitori di caffè dai pitali di plastica e alluminio che rilasciano ftalati che tanto bene fanno alla salute. E pure al pianeta.
Oggi sembra che ad inquinare sono solo le vecchie auto.
Chi andava all’estero, nei decenni passati, poteva lasciare a casa gli spaghetti ma la moka se la doveva portare se voleva bere un caffè decente.
Krizia, Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, Dodo, Brioni, Richard Ginori la maison Valentino, Ferrè, La Rinascente, Versace, Loro Piana, Fendi, Emilio Pucci e Bulgari, sono tutti marchi non più italiani.
E poi Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori, gli oli Cirio-Bertolli-De Rica, così i salumi Fiorucci, Grom, Pernigotti e Birra Peroni altri marchi finiti all’estero.
La moka Bialetti resisteva come il tricolore che sventola sulla cima di una montagna.
E pensare che gli italiani furono convinti da un americano a lasciare la caffettiera per i pitali di plastica.
Un americano! Che si bevono quella sciacquetta che chiamano caffè “americano”.
Se ne va l’ultimo baluardo di un’Italia che piaceva e dettava le regole del design e della pubblicità, in testa l’agenzia di Armando Testa.
Non ci resta che resistere, resistere, resistere ed andare fieri, al supermercato, a comprare quelle sparute confezioni di caffè macinato oramai sommerse dalle innumerevoli scatole di pitali di plastica.
Ed è proprio in quel momento che mi sovviene la celebre frase di Nanni Moretti: “Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone: mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza”.
Io sono sinceramente affranta per questa notizia. Si blatera di sovranità, identità e tradizioni da proteggere sino allo scontro armato con lo straniero e poi cediamo ogni marchio identitario allo straniero. Viviamo in un’epoca davvero buia.
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Ormai siamo il terzo mondo, ma non disperate, a palazzo Chigi han preso la pala, quella dell’esercito russo mi dice un amico ben informato, e hanno detto che non abbiamo ancora raggiunto il fondo ma che dobbiamo scavare, fino a 75 anni e a 3 euro lordi l’ora.
Ormai siamo buoni solo per il Turismo e i lavoretti mal pagati e precari
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Hanno svenduto tutto per monetizzare e quando hai monetizzato non ti rimane più niente perché i soldi sono effimeri e posso sparire come sono venuti se ne possono andare! Basta guardare cos’è accaduto in questi giorni… I soldi vanno e vengono ma la dignità no, quella rimane.. hanno delocalizzato quasi tutto negli ultimi decenni, il risultato qual’è stato? L’impoverimento di un Paese, loro sì si sono arricchiti di più ma la gente i lavoratori quelli che comprano i prodotti italiani fatti all’estero, quelli sono più poveri e più bistrattati che mai! È sempre la solita storia lo stramaledetto denaro! Che con il potere fa impazzire la gente!
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Aprile 8, 2010
Addio allo storico stabilimento della Bialetti: produzione spostata all’Est
L’omino con i baffi non sorride più e l’Italia perde uno dei suoi simboli. Bialetti, da oltre mezzo secolo sinonimo di caffettiere, ha deciso di chiudere lo storico stabilimento a Crusinallo di Omegna (Verbano Cusio Ossola) e avviato la procedura di mobilità per i 118 dipendenti.
La produzione della Moka express verrà spostata nei Paesi dell’Est.
https://archivio.blitzquotidiano.it/economia/addio-allo-storico-stabilimento-della-bialetti-produzione-spostata-allest-316634/
Anni fa comprai un pentolino originale Bialetti su Amazon ed è made in China.
La bandiera italiana sui prodotti indica solo la provenienza del marchio, o lo stile, ma spesso le fabbriche stanno altrove perchè costa meno.
In generala la qualità di molti marchi, a mio parere, è più bassa delle produzioni del secolo scorso.
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Un tempo eravamo la settima potenza industriale del mondo.
Una serie di governi spaventosi e meschini, del tutto indegni di un Paese civile, di dx, come di sx, ha via via nel tempo svenduto gran parte dei beni pubblici, in un saccheggio progressivo pari a quello della Grecia, imponendo una micidiale austerità e costringendo i maggiori marchi italiani, già famosi nel mondo, a chiudere uno dopo l’altro.
Ma, con spaventosa imbecillità gli elettori fidalizzati o rincretiniti hanno continuato a votarli e sostenerli mentre le aziende residue hanno cercato con donazioni e regali di corrompere la casta politica per avere protezioni e sopravvivenza.
La corruzione domina l’economia e la distrugge.
Esempi illustri come Ford, Olivetti o Mattei non si ripresentano più e il campo economico attuale è ormai devastato da politiche dissennate che ordinano l’austerity, la recessione, l’inflazione, il peggioramento della vita dei popoli, la crisi economica e la guerra, per il gioco perverso della Borsa, il lucro dei grossi sistemi bancari, il fanatismo esasperato degli scommettitori, il prevalere di oligarchi psicopatici e il rimbecillimento progressivo dei popoli che votano e rivotano i loro stessi carnefici.
I governi tecnici dei primi anni ‘90 privatizzarono asset per circa 150 miliardi.
Le privatizzazioni in Italia furono discusse, per volontà degli Agnelli, sullo Yacht Britannia di proprietà della corona inglese, che il 2 giugno 1992 era ormeggiato al porto di Civitavecchia, per ricevere ospiti importanti, in un convegno organizzato da IFIL e in pratica diretto da quell’anima nera di Draghi (emissario del colosso americano Lehman Brothers), intenzionato a distruggere l’Italia. Vi parteciparono importanti figure della finanza e della politica italiana, tra cui: Giuliano Amato (allora Presidente del Consiglio),
Mario Draghi (allora direttore generale del Tesoro), Giovanni Bazoli (presidente di Intesa), Enrico Cuccia (banchiere di Mediobanca),
Carlo De Benedetti (imprenditore di Olivetti).
Nel 1993 viene fatta la privatizzazione del gruppo SME azienda pubblica controllata dall’IRI con una quota del 64%.
Nel luglio 1993, con la prima tranche della privatizzazione, relativa al settore surgelati e a quello dolciario del gruppo SME, il gruppo svizzero Nestlé acquisisce i marchi Motta, Alemagna, La Cremeria, Antica Gelateria del Corso, Maxicono, Surgela, Marefresco, La Valle degli Orti, Voglia di pizza, Oggi in Tavola.
Tra il 1991 e il 2001 molte aziende italiane vengono privatizzate, tra esse l’Eni, di cui Goldman Sachs (vedi Draghi) acquisì l’intero patrimonio immobiliare, e quelle controllate dall’IRI, tra cui la SME.
La strategia di privatizzazione di Telecom Italia era stata concepita dal presidente dell’IRI, Prodi, come modello per tutte le altre, perciò definita da quest’ultimo anche la “madre di tutte le privatizzazioni” italiane.
Nel 1994 fu creata Telecom Italia dalla fusione delle 5 aziende operanti sul mercato telefonico (SIP, Iritel, Italcable, Telespazio e SIRM); nel 1997 la STET, azionista di maggioranza di Telecom Italia Mobile con il 63%, venne fusa con Telecom per favorirne la privatizzazione.
Nel 1999 avvenne la scalata da parte della cordata di Colaninno, supportata da banche internazionali, che ottiene il controllo del 51.02% dell’azienda tramite una catena di controllo con a capo una finanziaria lussemburghese, scalata non ostacolata dal governo in carica, D’Alema I, che rinunciò ad esercitare la “golden share”[ la grande massa di debiti creati dai soggetti acquisitori venne poi scaricata sul soggetto acquisito, finendo per comprometterne l’equilibrio di bilancio e la redditività: ancora dopo oltre due decenni rimane un grande indebitamento a fronte del dimezzamento delle dimensioni del gruppo. Il “Lex Column” del britannico Financial Times, nel 1999, definì l’operazione di trasferimento della quota di Telecom Italia in TIM alla Tecnost una “rapina in pieno giorno” ai danni dei piccoli azionisti (e bravo D’Aema!). Anche l’economista e premio Nobel Paul Samuelson ha criticato queste operazioni Olivetti-Telecom, paragonandole a “scommesse” e alle pericolose operazioni dei fondi speculativi americani degli anni Novanta.
Nel 1996 il decreto Bersani stabilì la liberalizzazione dell’energia elettrica.
Letta privatizzò il mercato del gas.
Si noti che ad ogni privatizzazione il costo saliva e la situazione per gli utenti peggiorava.
Nel 1992 il Governo Amato trasforma in società per azioni ENII, Eni, INA ed Enel, seguone Ferrovie dello Stato, Monopoli e telecomunicazioni.
1993 Ciampi dismette totalmente la quota detenuta dell’IRI nel Credito Italiano e di quella detenuta dall’ENI nel Nuovo Pignone. Segue dismissione da parte dell’ENI di Agip e Snam.
Ciampi dismette anche le partecipazioni detenute dal tesoro in Banca Commerciale Italiana, Credito italiano, Enel, IMI, STET, INA e Agip.
1994: con Berlusconi l’Ente nazionale per le strade ANAS diventa una società per azioni.
Tutte le aziende privatizzate aumentano i loro costi, ma peggiorano i loro servizi e licenziano così da risparmiare e arricchire gli azionisti.
Bersani tenta di privatizzare l’acqua ma viene bloccato da un referendum. Il giorno dopo il referendum presente di nuovo una proposta di legge a favore dei proprietari privati dell’acqua.
La grottesca e micidiale politica economica dettata dalla BCE e sostenuta dai pessimi Presidenti dell’Ue crea catene di fallimenti.
L’Italia è particolarmente colpita come Paese PIGSS, il cui fallimento secondo le loro decisioni dovrebbe seguire quello della Grecia e il suo debito pubblico aumentao smisuratamente fino ad arrivare ai 2.965 miliardi di euro attuali. Il Governo Meloni non ha fatto che aumentarlo, continuando le privatizzazioni e la svendita di beni pubblici.
Nell’Ue, per debito pubblico, l’Italia si posiziona al secondo posto, con un rapporto debito/PIL pari a 134,6%, subito dopo la Grecia. Ciò che emerge in maniera preoccupante è il notevole scostamento di questi valori rispetto alle medie osservate nell’UE e nell’area euro, che si attestano entrambe intorno all’80%. Nel 2023 il debito pubblico italiano era pari al 138,3% del PIL
L’Italia ha il tasso medio di interesse sul debito pubblico più alto dell’eurozona, dovuto a emissioni di titoli di Stato in passato a tassi elevati.
Grecia, Italia, Francia, Spagna e Belgio hanno il debito più elevato, tutti con rapporti debito/PIL superiori al 100% .
Nel 2024, l’Italia ha pagato 84,2 miliardi di euro di interessi sul debito pubblico. Si consideri che tutte le spese sostenute dallo Stato per mandare avanti l’Italia nel 2024 sono state di 32 miliardi di euro.
Oggi svendono Bialetti, Krizia, Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, Dodo, Brioni, Richard Ginor, Valentino, Ferrè, La Rinascente, Versace, Loro Piana, Fendi, Emilio Pucci e Bulgari, non sono più italiani.
Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori, gli oli Cirio-Bertolli-De Rica, così i salumi Fiorucci, Grom, Pernigotti e Birra Peroni sono finito all’estero.
Nel frattempo individui usciti dalla Bocconi come Giorgetti svendono i beni pubblici, le poste, Alitalia…
Nel 2006 l’Italia aveva ancora uno dei patrimoni pubblici più ingenti d’Europa, superando il Pil della Francia ed era la quarta economia del mondo). Poi sono venuti guastatori come Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Draghi… Tutti, da destra a sinistra, salvo Conte, hanno svenduto pezzi del Paese. Tutti, da dx a sx, tutti, meno Conte, non sono stati governatori. Sono stati razziatori.
Eppure i guastatori godono ancora di credito presso gli abitué del voto sbagliato. Continuate così!!!
Come diceva Troisi: “Non ci resta che piangere!”
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