
(di Rita Querzè – il Corriere della Sera) – I dazi Usa sulla Cina sono incrementati nell’ultima settimana a più riprese. Per chi avesse perso il conto, oggi sono arrivati al 145%. Così le imprese italiane si trovano schiacciate tra due fronti: da una parte penalizzate dai dazi Usa, dall’altra consapevoli del rischio di invasione di merci cinesi a basso costo.
Acciaio, alluminio, chimica di base, veicoli, frigoriferi, lavatrici, tessile, abbigliamento. Persino l’alimentare. Se il pericolo è riconosciuto da tutti, meno condivisione c’è sul tipo di risposte da mettere in campo.
Nella relazione annuale sui progressi nel 2024 contenuta nel Dpf, il nuovo Def, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti avverte che «a partire dal secondo trimestre, l’andamento dell’economia potrebbe risentire degli annunci riguardanti i dazi imposti dagli Stati Uniti e dell’elevato grado di incertezza».
Prendiamo il comparto dell’elettrodomestico. Oggi il 35% dei frigoriferi venduti in Europa viene dall’Asia. «Dal Covid in poi abbiamo assistito a un aumento delle importazioni di prodotti dal Far East, spesso con prezzi molto aggressivi — fa il punto Marco Imparato, direttore di Applia, l’associazione dei produttori del settore —. Con i nuovi dazi Usa temiamo che questa dinamica possa accentuarsi».
Un settore di cui si parla poco è la chimica. Ma anche qui il problema esiste, eccome.
«Il rischio che arriva da un riorientamento di prodotti cinesi verso l’Europa è altissimo — avverte il presidente di Federchimica Francesco Buzzella —. Anche perché la quota di import di chimica dalla Cina è già aumentata dal 5 al 16% nel periodo 2021-2024».
Ma oggi quali sono i segnali? «A gennaio l’import dalla Cina è raddoppiato», segnala Buzzella. Stessi timori per il tessile-abbigliamento. Il presidente di Confindustria Moda Sergio Tamborini lo ha sottolineato nei giorni scorsi: i prodotti che i cinesi non riescono più a vendere negli Usa finiranno da qualche parte, temiamo anche a casa nostra.
Difficile dargli torto, anche perché la Cina fino a ieri ha esportato verso gli Usa prodotti legati alla moda per il non trascurabile valore di 145 miliardi di dollari l’anno.
Non mancano le preoccupazioni anche per il settore meccanico già in fase di riconversione con il green deal.
In quest’ambito non potranno più prendere la strada degli Usa merci cinesi per il valore di 87 miliardi di dollari ogni anno. Se parliamo di automotive e di siderurgia, poi, piove sul bagnato perché l’Europa subisce da tempo la concorrenza di Pechino, tanto che i dazi sulle merci cinesi sono stati introdotti da un pezzo.
Il punto è: ora saranno una protezione sufficiente? Prendiamo il caso dell’automotive: se oggi le auto cinesi vendute in Europa ammontano a circa il 5% del totale, già prima dello choc dei dazi i consulenti di AlixPartners stimavano una crescita al 12% nel 2030 e al 20% nel 2035.
Che fare? «Il problema è che la Cina si trovava già a gestire un’importante sovracapacità produttiva. Da tempo cerca di rafforzare la domanda interna, che però resta ancora debole», riflette Alessandro Fontana, direttore del centro studi.
Gli industriali sono realisti. Anche all’incontro con il governo è venuto fuori che sarebbe meglio evitare i dazi sui beni intermedi (i singoli componenti di un prodotto) perché si metterebbero in difficoltà intere filiere. C’è il rischio di farci del male da soli, soprattutto quando si parla delle tecnologie strategiche per la transizione.
Al massimo i dazi potrebbero essere introdotti o incrementati su alcuni prodotti destinati al consumatore finale. Con la consapevolezza che possono essere anche facilmente aggirati. In Confindustria molti concordano sul fatto che più efficace sarebbe affrontare il problema alla radice. Cioè aumentando la competitività delle nostre imprese, a partire dal costo dell’energia.
Senta carissima …ci hanno già invaso con la loro presenza… e molte agevolazioni italiane.
Vada a Plato…. e vedla …come è litotta la zona altigianale….non c’è bisogno che arrivi la merce(a parte che sta già arrivando da tempo nei negozi italiani.
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Simone di Nova Lectio è incidentalmente proprio di Prato.
E non le ha mandate a dire.
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grazie spa… tutto vero!
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ma che bello, che beo tempi, quando le imprese italiane facevano produrre pezzi in Cina, costo medio 1000 lire, assemblavano in Italia e rivendevano a 300.000 lire.
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Adri pensa che a Prato sono dentro al consiglio comunale,se poi ,vuoi comprare basta andare,mi sembra, nel rione S,Lorenzo(vicino ai vigili del fuoco).e trovi dei loculi con la merce ,dove pèure ci dortmono e ci pranzano… ti ho detto tutto e se per caso capiti per sbaglio in un loculo dove nmon è prevista la vendita,devi fare presto ad uscire.
E le autorità? ssss.. finchè non succede nulla,come quel caso in cui , scoppiato un incendio,(non ricordo dove) in cui sono morti operai e minori.
Ecco quindi che l’invasione è già venuta da tempo!
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“… In Confindustria molti concordano sul fatto che più efficace sarebbe affrontare il problema alla radice. Cioè aumentando la competitività delle nostre imprese, a partire dal costo dell’energia.”
Purtroppo Confindustria ha deciso, col suo presidente Orsini, di fare guerra alle Rinnovabili e chiede di “rivedere” (in senso negativo) in green deal, cioè di rallentare l’innovazione tecnologica e la transizione energetica. Poi – ma qui viene il bello! – è la stessa Confindustria che paga pagine di pubblicità sui giornali per chiedere (tenetevi forte!) uno sviluppo più forte e deciso delle energie alternative in modo da permettere un abbassamento del prezzo dell’elettricità.
C’è un solo modo per diminuire il prezzo dell’energia in Italia: Orsini si deve dimettere (e pure la Meloni).
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