(Giancarlo Selmi) – Caro Massimo, ti leggevo assiduamente ai tempi di “Repubblica”. Quel giornale che fondò Scalfari e che oggi non c’è più. Adesso ce n’è uno che ha lo stesso nome, ma non c’entra nulla con l’originale. Come se i “Cugini di campagna” si fossero dati il nome di Beatles. Leggevo tutti i tuoi articoli. Quelli scritti con il piglio del giornalista vero, indipendente, del giornalista che non obbedisce a ordini.

Ricordo i tuoi attacchi a Berlusconi, al pericolo che costituiva la concentrazione di tutta l’informazione televisiva in mano a un unico gruppo.

Ricordo i tuoi continui richiami alla necessità di promulgare una rigorosa legge sui conflitti di interessi, al fine di salvaguardare la democrazia. Ricordo quando in un talk show non avesti paura a definire il potere dominante di Berlusconi nell’informazione, “un vero e proprio vulnus per la democrazia”. Avevi ragione, caro Massimo. Ma poi cos’è successo? Sono mancato dall’Italia qualche anno e ti ho ritrovato cambiato. Un’altra persona. E non mi riferisco ai capelli bianchi e la barba ordinata, mi riferisco alla tua organicità all’attuale sistema informativo.

Un’informazione ancora peggiore di quella che vide te acerrimo oppositore, che criticasti ed attaccasti con fervore ed autorevolezza. Un’informazione, quella attuale, che avrebbe fatto gridare all’orrore il tuo predecessore che ebbe il tuo stesso nome e che invece, oggi, ti vede splendido protagonista. A cosa è dovuta questa tragica e deludente conversione?

Il sospetto che tu non fossi libero neanche prima si fa prepotente e che la tua difesa della pluralità fosse interessata, che tu recitassi la parte del difensore del diritto del cittadino ad una informazione pluralistica, perché tale difesa era utile all’interesse del tuo editore De Benedetti.

Che tanta libertà, quindi, non ci fosse affatto. E il sospetto diventa certezza leggendoti adesso. Perché è impossibile una tale conversione senza dolori atroci che, francamente, mi pare tu non abbia avuto. Perché, nessuno potrebbe editare una verità totalmente condizionata dall’interesse dell’editore, o dalla sua appartenenza politica, se non ne fosse capace. E tu lo sei stato (capace).

La tua guerra a Conte è stata e continua ad essere evidentissima. Così com’è stata evidente la manipolazione della verità, che hai operato in qualità di direttore de La Stampa. E che continui a operare anche come opinionista.

Le tue frequenti comparsate nei talk shows sono state e sono caratterizzate dallo stesso intento: fare apparire l’ex Premier inadeguato, debole, sminuirne o negarne, le invece evidenti ed apprezzate, capacità.

Nulla ha frenato la tua crociata personale, che ha visto, fra tante altre cose, la pubblicazione (senza mai citarne la fonte) di notizie di presunti complotti fra servizi segreti e Conte. Quando la notizia si è rivelata una bufala, non hai smentito a nove colonne (come sarebbe stato doveroso) né hai chiesto scusa (come avrebbe preteso l’etica). Potrai rispondermi “anche io tengo famiglia” e lo capirò.

Gli assegni a 6 zeri fanno gola a tutti e sono una buona motivazione anche per scrivere menzogne, o miscelare le stesse con mezze verità. Peccato che la tua autorevolezza sia ormai inversamente proporzionale al cospicuo ammontare del tuo conto in banca. Peccato che non ti salvi neppure quel progressismo, un tanto al chilo, nel quale ti piace nasconderti.

L’attuale crociata raccomandata dal tuo attuale padrone produttore di armi, che ha riguardato il malcapitato Orsini e che riguarda oggi chiunque avversi il riarmo, non aggiunge nulla a quanto già detto.

Peccato Massimo. Devo ritirarti la mia stima definitivamente. Non solo: mi piace pensare che un giorno ci possa essere un giornalismo degno di questo nome ed un informazione veramente plurale in mano a editori puri. Mi piace pensare che, in quel mondo, tu e quelli come te, non avranno posto.