
(Dott. Paolo Caruso) – Dopo la condanna di Marine Le Pen il mondo della politica conservatrice anche internazionale interviene accusando con il suo solito mantra i magistrati rei di chissà quali complotti. Giudizi sprezzanti nei confronti della magistratura da parte dei partiti della destra francese e minacce alla Presidente della corte giudicante che è stata messa sotto scorta. L’ex Presidente del Rassemblement Nazional, Marine Le Pen, è stata condannata a quattro anni di reclusione per appropriazione indebita dei fondi europei, ed è stata inibita con effetto immediato dal correre alla presidenza della repubblica alle prossime elezioni del 2027. Altri otto europarlamentari della stessa formazione politica della Le Pen e dodici assistenti sono stati dichiarati colpevoli per avere firmato contratti fittizi. La Le Pen parla di “una sentenza politica in cui è stato violato lo stato di diritto” tralasciando in mala fede che è al centro di questo sistema dal 2009. A Lei si associano i soliti strilloni di casa nostra che all’ occasione riformulano il concetto di “giustizia ad orologeria”. La Meloni da parte sua parla di democrazia ferita, di una sentenza che colpisce la leader di un grande partito e toglie rappresentanza a milioni di cittadini. Come se il consenso popolare sovrastasse le leggi dello Stato. La legge forse non è più uguale per tutti? Dura lex sed lex. Curioso che Putin richiami la Francia ai valori del diritto e della libertà e che insieme ai sovranisti d’oltreoceano (Trump, Vance e Musk) in coro con quelli nostrani europei, Orban e Salvini in testa, si scandalizzano. La denuncia del reato è per loro solo un pretesto. C’è la legittimazione popolare…… Siamo davvero in un mondo strano, Putin vuole l’Ucraina e se la prende, Trump la Groenlandia e gli appartiene, Netanyahu la Striscia di Gaza e ne fa quel che vuole, ora tocca alla Cina con Taiwan. Quale scenario futuro? Si ritorna al feudalesimo medievale. Asso piglia tutto!
Le Pen e la tesi della lotta politica per via giudiziaria
DI MARCO TARCHI
Il vento che tira. Dall’esclusione di Georgescu in Romania alla dura lotta di Tusk in Polonia con il suo rivale sovranista: la Corte parigina ha replicato il metodo Al Capone
Che la condanna di Marine Le Pen avrebbe riattizzato per l’ennesima volta il classico scontro tra destre e sinistre, con le prime a lamentarsi del carattere politico della sentenza contro la candidata data dai sondaggi al 37% al primo turno dell’elezione presidenziale del 2027 e le seconde a ribattere che le sentenze vanno rispettate e che chi commette un reato deve essere punito senza sconti per il suo ruolo politico, era scontato ancora prima che il verdetto venisse pronunciato. E i commenti che si sono ascoltati o letti nelle 24 ore successive alla sentenza non hanno fatto altro che ribadirlo, con l’aggiunta dei toni irritati o sconsolati di parte conservatrice e di quelli gongolanti o irridenti del versante progressista. C’era anche da aspettarsi che la vicenda, già di per sé clamorosa, desse la stura alla consueta corsa alla delegittimazione reciproca dei due schieramenti, in cui da un lato si è fatto ricorso alla mai spuntata arma della denuncia del complotto – dell’Unione europea, secondo Salvini – e dall’altro ci si è affidati a comparazioni mistificanti – con Bonelli che ha accostato l’uso di fondi destinati ad assistenti all’Europarlamento e utilizzati per far lavorare costoro a profitto del partito in Francia ai famosi milioni del finanziamento pubblico della Lega finiti nel buco nero del “cerchio magico” bossiano.
Quello che in pochi potevano supporre è che l’unica stecca a questo coro venisse dall’avversario più dichiarato e costante della leader del Rassemblement national, Jean-Luc Mélenchon, che non ha avuto remore nel sostenere che “la decisione di destituire un eletto dovrebbe spettare al popolo”, come del resto prevede il progetto di “referendum revocativo”, versione transalpina dell’istituto del recallstatunitense, presentato già da anni dal capofila della sinistra radicale. Presentata dai media come una sorta di romantico sfogo di nostalgia per un duello sospirato da tempo e mancato sia nel 2017 che nel 2022 per l’intrusione di Macron, questa presa di posizione, anticipata di pochi minuti dal comunicato collegiale de La France Insoumise, in cui si esternava il “rifiuto di principio dell’impossibilità di ricorso per qualsiasi imputato” e quello di “utilizzare un tribunale come strumento di azione per sbarazzarsi del Rassemblement national”, da combattere invece “nelle urne e in piazza”, pone invece un problema cruciale per il presente e il futuro della democrazia, che si manifesta periodicamente sulla scena politica da oltre un secolo (perlomeno dai tempi della Repubblica di Weimar) ed è rimasto sino a epoca recente confinato negli angusti limiti della discussione accademica fra giuristi: il rapporto fra legalità e legittimità in ambito politico. Con la prima dettata e garantita da un sistema di norme e la seconda dall’unzione popolare testimoniata dai risultati elettorali.
A seguito delle vicende di Tangentopoli, il nocciolo della questione è emerso in Italia da ormai più di trent’anni e ha suscitato un vivace dibattito politico e culturale, che non è il caso di rievocare su queste colonne. Il caso scoppiato Oltralpe in queste ultime ore presenta tuttavia un profilo molto diverso da quello che ha caratterizzato l’epico e a volte tragicomico conflitto tra berlusconiani e antiberlusconiani travestiti da “garantisti” e “giustizialisti” e merita di essere analizzato nella sua specifica anomalia, per le conseguenze tutt’altro che trascurabili che rischia di suscitare e per le fin troppo palesi analogie con altre vicende recenti della politica europea, che hanno spinto studiosi di diverso orientamento politico a parlare di ombre sulla corretta applicazione delle regole del gioco democratico.
C’è innanzitutto un paio di punti da chiarire. Primo: i fatti da cui è scaturita la condanna non hanno nulla a che vedere con vicende di corruzione personale e neppure di finanziamento illegale di un partito. Niente tangenti estorte con accordi di scambio, niente mediazioni affaristiche, nessun pacco di banconote nascoste in cassaforte o sotto il letto. Che al Fn/Rn sia stato utile impiegare nel lavoro sul territorio francese propri militanti pagati dall’Europarlamento per fare da assistenti dei deputati all’assemblea di Strasburgo, è sicuro: l’illecito è quindi difficilmente contestabile. E non è giustificabile con il ricorso all’argomento, pur fondato, che “così fan tutti”: la condotta è stata così incauta ed evidente da aggiungere semmai al reato il peccato di ingenuità. Secondo: è vero che la legge che l’ha messa adesso in questa difficilissima situazione è stata da Marine Le Pen fortemente difesa e sostenuta in più sedi, addirittura proponendo di trasformare la condanna all’ineleggibilità da temporanea a permanente. Ma è altrettanto vero che la richiesta si riferiva soltanto ai casi in cui il reato commesso avesse comportato un arricchimento personale del condannato.
Stabilito ciò, il dato che rende effettivamente politica la sentenza pronunciata da un tribunale che – si noti – è composto da giudici di una sezione speciale, delegata a occuparsi esclusivamente di questo genere di imputazioni, è la decisione di rendere immediatamente esecutiva la pena comminata, escludendo esplicitamente la possibilità di sospenderne l’applicazione nell’attesa del giudizio su un ricorso in appello. Il tutto aggravato dalle motivazioni che i tre giudici hanno addotto a sostegno della loro scelta: il “fondato rischio” di una reiterazione del delitto e il “grave rischio di turbativa della vita pubblica” nel caso in cui la condannata fosse rimasta in libertà.
Ora, occorre una massiccia dose di faziosità per sottoscrivere entrambe le ragioni addotte. Chi mai potrebbe immaginare che, all’indomani di una condanna così pubblicizzata, la più accreditata candidata alla conquista dell’Eliseo avrebbe continuato a perpetrare l’illecito di cui le si è fatto carico (e che peraltro non si è più verificato a partire dal 2014)? Un sospetto di questo genere è palesemente risibile. E quanto alla seconda illazione, non è forse vero che a turbare la vita pubblica è semmai l’eliminazione per via giudiziaria di una pretendente alla presidenza della Repubblica che ha già ora dalla sua il sostegno di oltre un terzo dell’elettorato, piuttosto che la sua partecipazione a quell’elezione?
Le cose vanno quindi guardate in faccia. Ricorrendo al suo potere discrezionale, la Corte parigina ha falsato la corsa elettorale e pregiudicato la libertà di scelta degli elettori francesi. Ha, insomma, offerto l’ennesima replica del metodo Al Capone: se non posso metterti fuori gioco in uno scontro frontale, lo farò con un sotterfugio. Un criterio che pare essere diventato particolarmente gradito a quei governanti di paesi nominalmente democratici che si trovano improvvisamente in imbarazzo di fronte al crescente consenso di inattesi outsider bollati dell’etichetta infamante di populismo. Anche se è rapidamente scomparso dalle pagine dei quotidiani, il caso rumeno culminato nella messa al bando con motivi pretestuosi del candidato “filorusso” Georgescu da una competizione elettorale che avrebbe quasi certamente vinto è emblematico di questa situazione, che ormai non costituisce più un unicum.
Altre sorprese sono da attendersi in Polonia, dove l’imminente scontro tra il candidato sponsorizzato dal “volenteroso” Tusk e il suo rivale sovranista sta dando luogo a una lotta senza esclusione di colpi, con il rifiuto del governo di riconoscere le sentenze del Tribunale costituzionale (formato da giudici nominati dal precedente esecutivo) e la sospensione dell’erogazione dei fondi previsti dalla legge al PiS in nome di una presunta “giustizia di transizione”.
Se questi comportamenti diverranno la regola, la riduzione della democrazia a pura convenzione lessicale avrà fatto un altro decisivo passo avanti.
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https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2025/04/02/le-pen-e-la-tesi-della-lotta-politica-per-via-giudiziaria/7936848/
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https://www.linkiesta.it/2025/03/georgescu-golpe-mercenari-russia-romania-mosca/ …..“messa al bando con motivi pretestuosi del candidato “filorusso” Georgescu”…..Se sono tutti gomblotti , allora lo e’ anche quello contro Nethanyau. Parita’ di complotto per tutti !
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Infatti si nota subito come Bibi sia in prigione e chi sta sterminando i palestinesi sia un suo avversario politico.
Pagliaccio.
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