
(di Michele Serra – repubblica.it) – Domenico Starnone è vecchio, maschio e bianco. Letta la sua intervista su questo giornale (vi prego, se l’avete persa, di leggerla) mi sono chiesto se la caratura intellettuale e la qualità umana che ne risultano dipendano dal suo status (vecchio, maschio e bianco), e mi sono risposto di no. Perché di vecchi, maschi, bianchi che dicono cose ignobili, banalità mortificanti, scemenze irricevibili, è pieno il mondo. Come campione indiscusso, indico Donald Trump.
Mettiamola così: la condizione di partenza è di indiscutibile, oggettivo vantaggio. Ma, con ogni evidenza, non basta a produrre qualità. Basta, al massimo, a produrre supremazia.
Trump non è al potere per la sua qualità. È al potere per la supremazia economica del suo circuito, e per la depressione culturale dei suoi elettori (non solo bianchi, non solo vecchi, non solo maschi. Molte le donne, i giovani, i non bianchi).
C’è chi ha messo a profitto il privilegio (essere nati maschi in un mondo maschilista, bianchi in un mondo razzista) per spadroneggiare. Chi per pensare, che è sicuramente un lusso, ma anche una facoltà.
Le persone sono molto diverse l’una dall’altra. Profonda e misteriosa è la distanza psicologica, politica, culturale che le forma e le separa. Dire maschio, dire femmina, dire europeo, dire americano (o cinese, o africano), non è dire abbastanza. Contano le persone, una per una.
Il vecchio maschio bianco Bernie Sanders, che è una delle persone più interessanti, civili, inclusive del mondo, è il contrario di Trump.
Nel dibattito su genere, generazione e colore della pelle, il mistero della singola persona umana non è abbastanza compreso. Propongo di introdurlo, come affascinante variante.
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“Perché di vecchi, maschi, bianchi che dicono cose ignobili, banalità mortificanti, scemenze irricevibili, è pieno il mondo.”
Purtroppo è vero, e tu non devi fare molta strada per trovarne uno, basta che vai in bagno e ti guardi allo specchio, idiota.
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“Il vecchio maschio bianco Bernie Sanders, che è una delle persone più interessanti, civili, inclusive del mondo, è il contrario di Trump.”
E infatti, quando vinse le primarie del tuo tanto amato partito democratico Usa, fu sostituito(!!!) da Hillary Clinton, che poi perse.
Nasce malato, se si chiama Pd ed imita l’originale…
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Sto str..ha avuto il coraggio di rievocare nientemeno che Sanders, il più distante politicamente da Biden. Uno che è stato strangolati dal suo perito per fare posto al guerrafondaio travestito da agnello.Che coraggio o anzi che fegato che ha sto Serra !
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“contano le persone”!!!
quando si dice: “la faccia come il ….”!?!?
contano le persone.
quali: quelle che scrivono su testate comprate da poteri forti (si veda finanziamenti erogati dalla tirannide ue peraltro con scarsa trasparenza? o i finanziamenti erogati da nuovi nazi che con la menzogna (qualcuno ricorda la pubblicità ingannevole sulle accise girata al distributore di benzina) comandano carezzando i potenti e bastonando i deboli?
ma che giornalista è colui che non si vergogna di campare col salario pagatogli coi soldi derivanti dalle tasse di chi le tasse la paga?
un amico ha detto che giornali e giornalisti che non rifiutano di campare parassitariamente non possono definirsi e dirsi giornalisti e giornali…!
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Alessandro Sergio ·
Dal funereo palco del 15 marzo a Roma in Piazza del Popolo in cui si sono esibiti alcuni volti noti del panorama zombi italiano per appoggiare, sostanzialmente, il riarmo europeo affinché le giovani generazioni possano farsi massacrare in una guerra suicida contro la Federazione Russa, spicca per ignoranza storica e bassezza morale l’apparizione dell’attore Fabrizio Bentivoglio che rilegge il celebre discorso di Pericle agli ateniesi.
Discorso come al solito travisato nella sua sostanza, per dare a credere alla massa udente che lo stratega ateniese, con la sua orazione, avesse intenzione di comporre l’elogio della democrazia e rimarcare così la superiorità ontologica del sistema democratico rispetto a tutti gli altri sistemi (cioè quello spartano, tendenzialmente oligarchico).
È proprio l’esatto contrario, e per comprenderlo va anzitutto inquadrato il contesto storico e politico in cui questo discorso si tenne, pronunciato non senza intenti di manipolazione da parte di Pericle ai danni della massa popolare.
Il discorso è invero un epitaffio, ovvero una commemorazione funebre per i caduti in guerra nel corso dell’anno. Questi discorsi si tenevano ogni inverno, durante la sospensione delle ostilità a causa delle avversità meteorologiche. […] Assistevano pubblicamente tutti i cittadini, ovvero i soli maschi: i figli, i padri, i fratelli che avevano perduto il proprio caro; le donne, madri, mogli e sorelle situate da un’altra parte, procedevano alle lamentazioni funebri. Perciò si trattava tutt’altro che di un’occasione lieta in cui celebrare i fasti della democrazia in un’atmosfera irenica di festività.
Ma questo Bentivoglio non lo premette, altrimenti il suo discorso, spacciato per elogio della democrazia, si rivelerebbe per ciò che è: una volontà ferma di proseguire la guerra al nemico, costi quel che costi, anche a prezzo di fiumi di sangue.
Il discorso di Pericle ci proviene dal libro II (35-46) de La Guerra del Peloponneso, a opera dell’ateniese Tucidide. A quel tempo Atene è in guerra con Sparta da un anno. Il noto discorso funebre riguarda dunque i caduti in guerra del primo anno. È il 431/430 a.C. e Tucidide ricompone, con qualche correzione ma lasciando inalterato lo stile pericleo, il discorso che proprio Pericle ha pronunciato dinanzi ai cittadini.
Il giornalista che ha riportato la notizia servendosi di una data errata (461 a.C.) è perciò l’ennesimo campione di gretta ignoranza. A quel tempo Pericle, probabilmente, non era neanche mai stato eletto alla carica di stratego prima d’ora. E comunque i fatti narrati da Tucidide si tengono almeno un trentennio dopo. Da dove ha cavato tale data, 461 a.C., il “giornalista”? Facendo qualche ricerca, ho constatato che la data erronea campeggia da anni su molti siti. Il giornalista ovviamente, ignorando totalmente l’opera tucididea e il suo contesto storico, politico e sociale, non s’è dato pena di controllare la veridicità della datazione: ha semplicemente fatto una ricerca e la prima data che ha intercettato ha ritenuto fosse corretta. Così funziona l’informazione.
[…]
Torniamo al discorso di Pericle. Spetta infatti proprio a lui in persona, stratega assieme ad altri nove colleghi (la strategia è la massima carica ateniese, sia militare che politica) prendere parola. L’anno in corso è stato alquanto difficile per lo stratega. Pericle, in carica da decenni, rischia di vedere la sua stella tramontare. La guerra contro la coalizione spartana, che egli tanto ha voluto, sta arrecando sofferenze, lutti e privazioni agli ateniesi: l’esercito nemico ha devastato i dintorni dell’Attica e tutti i cittadini che prima risiedevano all’esterno sono ora costretti a rifugiarsi nel perimetro delle mura della città. Di lì a poco una misteriosa malattia (forse una febbre tifoidea) falcidia la popolazione a causa delle scarse condizioni igieniche dovute all’ammassamento di migliaia di persone accorse per sfuggire alle razzie spartane. Pericle medesimo perirà l’anno successivo per il contagio. Ma anche questo l’intrepido intellettuale da salotto per la guerra (in cui a morire saranno i figli degli altri) non lo premette: ne occulta il contesto di morte, l’atmosfera di strazio, dolore, lutto e privazione. Bentivoglio vuole il riarmo, ma ben si guarda dal riportare gli effetti diretti della guerra, analiticamente descritti da Tucidide, per parlarci invece di una favola mai esistita.
Cosa ci dice Tucidide in merito al discorso di Pericle che Bentivoglio utilizza come “prova” della superiorità ontologica della democrazia? Dopo il discorso di Pericle, Tucidide ci lascia alcune preziose informazioni che rivelano gli intenti che agitano il generale. Tucidide ci porta con mano ai motivi reali di quel discorso. Sempre nel libro II (65), scrive infatti che Pericle «con questo discorso tentava di far sfumare l’avversione che gli Ateniesi avevano concepito per la sua persona e, in più, di distrarre il loro spirito dalle presenti e via via più grevi difficoltà». Nondimeno, Pericle riusciva sempre a cavarsela e infatti «dominava senza lasciarsi dominare». È chiaro quindi che Pericle necessita di tenere quel discorso in cui si elogia l’ordine politico ateniese in quel momento così travagliato per garantirsi il proprio salvacondotto politico. E più avanti, annota ancora Tucidide: «Nominalmente, vigeva la democrazia: ma nella realtà della pratica politica, il governo era saldo nel pugno del primo cittadino». Qui perciò l’autore ci dice a chiare lettere, per tutti i Bentivoglio, che la democrazia c’era solo a parole: nei fatti vigeva il comando di una sola persona: Pericle.
[…] La democrazia, o «il nome che gli conviene» (II, 37), non c’entra nulla, assolutamente nulla.
Pericle, e tutto il mileu oligarchico in carica, prima e dopo di lui, scende da sempre a patti, per garantirsi la sopravvivenza politica, con quella parte popolare alquanto consistente che è il demo, per l’appunto. Pericle si gioca il tutto per tutto e tenta di ricomporre, abilmente, il conflitto latente che agita (e agiterà) Atene per gli anni a venire.
[…]
Piccola chicca per il tronfio Bentivoglio, il campione della “democrazia”: dopo quasi trenta anni, al prezzo di migliaia di morti (un numero altissimo per l’epoca), la completa distruzione delle sue mura (che avevano garantito la tenuta di quel sistema), della sua flotta (che garantiva la sua proiezione di potenza sul mare Egeo) e della sua economia, Atene quella guerra la perse. Dulcis in fundo, subendo un putsch di matrice oligarchica che fece strame della fazione democratica, ingenerando la statis, cioè una sanguinosa guerra civile, che a colpi di esecuzioni sommarie e processi nei tribunali, da una parte e dall’altra (i democratici, poi, si vendicarono ferocemente con altro sangue, anche innocente, tra cui quello di Socrate), suonarono le campane a morto dell’Atene classica. E fu così che si compì il suo suicidio geopolitico, da cui non ebbe mai più a risollevarsi.
Alessandro Sergio
Ho dovuto tagliare brutalmente lo scritto del pur ottimo Alessandro Sergio essendo egli persino più polemico e verboso di me.
Credo peraltro doveroso ricordare a mia volta un paio di elementi macroscopici sui quali nella sua analisi minuziosa Sergio finisce per sorvolare.
La ricchezza e la potenza della democrazia ateniese si basava sul lavoro schiavile, che, soprattutto nelle fondamentali miniere d’argento, si svolgeva in condizioni animalesche.
Le donne vivano una condizione ignobile non solo, come ovvio, rispetto ai giorni di oggi, ma anche rispetto tanto alle civiltà greche precedenti, come quella minoica, o altre civiltà coeve del Mediterraneo, come quelle etrusca.
Soprattutto, quando un’ altra città greca rifiutava di entrare nella sfera d’influenza ateniese, la reazione era scontata: guerra senza quartiere. E se la città in questione cadeva i cittadini venivano massacrati, le donne e bambini stuprati sistematicamente e fatti schiavi.
Ecco, in questo Bentivoglio ha ragione: è questo modello di “democrazia” che abbiamo provato a esportare dalla caduta del Muro ad oggi.
NOI, IN OCCIDENTE, FACCIAMO COSÌ.
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Grazie Viviana, intervento illuminante e raro che si erge tra l’ipocrisia e la disonesta` attuale.
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