In vista del nuovo ordine mondiale Trump personalizza il rapporto con la controparte russa. La diplomazia gli piace così. Putin ne è soddisfatto perché ottiene il riconoscimento di interlocutore alla pari, Ue esclusa

Perché sta diventando una guerra fredda 4.0

(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it) – Chissà se la telefonata di oggi tra Trump e Putin diventerà famosa come quella che il sette dicembre 1941 si scambiarono Churchill e il presidente americano Roosevelt.

«Che cosa sono queste notizie sul Giappone? È vero? ». La risposta che arrivò con voce roca dall’America è nei libri di storia: «Ci hanno attaccato a Pearl Harbour. Adesso siamo nella stessa barca».

Alla epoca i due leader si parlarono con un complesso macchinario inventato dalla americana Bell che randomizzava la trasmissione della voce in partenza e che utilizzava, in arrivo, un meccanismo simile che la ricomponeva.

La guerra russo-ucraina ha riportato il mondo indietro di mezzo secolo. Quella di oggi è la prima telefonata della nuova guerra fredda sempre sul punto di diventare tiepida. I due Grandi, infatti, si concertano per trovare una via di uscita che ristabilisca un equilibrio nel mondo, eliminando tra loro «dettagli» pericolosi e fastidiosi. Gli altri, i Piccoli, l’Ucraina ahimè, e l’Europa del volere e non potere, stanno a guardare sperando che le decisioni non siano per loro troppo pesanti.

Negli anni di Kennedy e Krushev si sarebbe raccontato lo scenografico ricorso al “telefono rosso”. Mai esistito. Perché in realtà si utilizzava un metodo di trasmissione di messaggi scritti tra Washington e Mosca: si pensava che una conversazione diretta potesse determinate equivoci pericolosi, ma portava rimedio al metodo tradizionale di decifrare i messaggi in codice, operazione che richiedeva ore mentre le Bombe erano già in posizione nei loro bunker.

Diavolo di un Trump! Lui il telefono lo adora. Già nel suo primo mandato chiamava tutti, da Putin con cui aveva, come si dice, «un buon rapporto», alla Merkel e a Hollande, l’incolore inquilino dell’Eliseo.

Appena ritornato alla Casa Bianca ha subito ripreso a comporre numeri, addirittura da casa, dalla Casa Bianca kitsch della Florida: uno dei primi a squillare è stato un vecchio numero di chi, nel frattempo, è diventato il criminale, il reprobo, il ricercato di Mosca. Il telefono è perfetto per la sua idea della diplomazia: niente intermediari, i professionisti dello Stato Profondo di cui non si fida perché tramano, dice lui, con il nemico democratico. E poi si adatta ai suoi metodi spicci. fatti di bluff provocazioni minacce stramberie.

Affascinante questo vertice telefonico da guerra fredda versione terzo millennio. Da un lato siamo in mano a un negromante, uno che elabora l’impulso egocratico e ne fa fiaba politica (l’America modello Teddy Roosevelt dura, imperiale contro le tarlate democrazie decadenti del vecchio mondo). All’apparecchio c’è un impresario affarista, siamo tutti in mano sua, confessiamolo, perché in tre anni di massacro abbiamo in realtà perso tempo. Ci voleva qualcuno che gridasse maleducatamente la nostra bancarotta di bellicisti pavidi, ipocriti e dannosi soprattutto agli amici.

Chissà se anche con l’ex del Kgb Trump esibirà qualcuna delle sue esuberanti volgarità. Ma è, purtroppo, il demiurgo, l’unico reperibile nel disfatto panorama di leader presentabili ma di mezza tacca. Tutti miseramente falliti di fronte alla dura prova del nove della guerra, da Johnson a Macron, da Draghi a Scholz. Lui ha dissolto le ideologie occidentali diluendole in un realismo monocorde, brutalmente elementare e basato sulla conta della forza. Ha disegnato sulle sue misure il problema ucraino. Riconosciamogli l’exploit. Siamogliene grati, almeno dissipa le ipocrisie anestetiche.

Alla cornetta però gli risponde un astuto giocatore di scacchi, dallo stile opposto anche se il linguaggio della forza lo capisce benissimo perché lo ha assorbito fin da quando, bambino, sillabava sui libri dell’Urss. In materia è un satanasso.

È uno che ama le penombre, realista implacabile, che non ha nulla a che fare con le goffe filastrocche dei suoi caudatari, il narcisismo lui lo riveste di divise storiche e le pose torve le riserva ai momenti chiave.

I “wishful thinkers” da tre anni lo vedono cadente. Ma sanzioni commerciali ed etiche non gli fanno né caldo né freddo. Anzi: oggi coglie il successo a cui tiene davvero, non quattro isbe in più in Ucraina, ma tornare di nuovo a parlare con l’altro signore del mondo, alla pari. Mentre quelli che per tre anni lo hanno insolentito come bandito sanguinario guardano, platea assuefatta, sgomenta e impotente.

Improbabili “appeasement” espliciti o aut aut scenografici sono biasimevoli per gli affari e le baratterie che i due hanno già certamente delineato. Sul possesso di Crimea e Donbass e sul no alla Ucraina nella Nato (tra parentesi nel frattempo estinta, come è logico essendo una appendice del Pentagono) non restano neppure esili dubbi.

Il delitto c’era ma il tempo se l’è mangiato; o non esiste più la norma incriminante perché Trump l’ha abrogata. Le procedure labirintiche per la tregua saranno affare degli sherpa diplomatici. E poi Putin ha interesse a guadagnare tempo. Non perché non voglia arrivare a un accordo come strepitano signore baltiche. La fine della ostilità conviene anche a lui, perché la Santa Russia potrebbe averne abbastanza di essere santa. Semmai più il tempo passa prima del cessate il fuoco più le sue truppe guadagneranno terreno.

È successo molte volte nella storia dei conflitti, prima che scenda la griglia dell’“uti possidetis” ovvero il punto in cui a una certa ora si deciderà che le armi tacciano, bisogna avanzare il più possibile nel Donbass e riconquistare tutto il Kursk. Un esempio.

Nel 1973 quando i carri armati di Sharon avevano rovesciato il fronte passando il canale di Suez, gli israeliani cercarono di ritardare l’ora X della tregua con l’aiuto degli americani. Era Sadat, come Zelensky, che aveva bisogno del cessate il fuoco subito, perché le sue truppe che, a sorpresa, avevano conquistato un lembo di Sinai erano accerchiate e senza rifornimenti e rischiavano la resa. Poiché il metodo Trump è avere sempre dei mirabilia nelle maniche vedrete che la prossima mossa sarà un summit ad personam.