I nuovi comitati tecnico-scientifici – Come in Corea del Nord? Danno i pareri con cui il Ministero della Cultura sceglie su musei e paesaggio: ora ne accorpano 3 in 1 e la politica ha sempre la maggioranza

(Di Tomaso Montanari – ilfattoquotidiano.it) – Il Ministero della Cultura (che tragedia che Draghi e Franceschini l’abbiano ribattezzato così, legittimando i peggiori usi politici della povera cultura) è, o meglio era, il ministero tecnico per eccellenza. Il ministero a cui fanno capo le soprintendenze, sorta di libera magistratura del paesaggio e del patrimonio culturale. Ecco, se invece di ripetere a vanvera solo “nazione”, abolendo l’odiata “Repubblica” (mica è quella di Salò…) e archiviando anche lo “Stato” (con Giovanni Gentile che si rivolta nella tomba), Meloni e camerati ricordassero qualcosa della dignità della cosa pubblica, eviterebbero di usare il patrimonio storico e artistico della nazione come uno scendiletto. La riforma del MiC (l’ennesima, ormai un accanimento su un cadavere) voluta da Gennaro Sangiuliano buonanima contiene un passaggio micidiale, che va a sradicare l’ultimo residuo di sapere tecnico in un carrozzone sempre più politico-ideologico.

Alludo ai comitati tecnico-scientifici, organi consultivi ma di grande peso, che offrono la base tecnica sulla quale l’amministrazione decide casi controversi di esportazione di beni culturali dal territorio nazionale, gli acquisti delle opere d’arte, la tutela di architetture e paesaggio, i ricorsi per via gerarchica e molto altro ancora. Ebbene, qualche genio ha avuto l’idea di accorpare i tre comitati in materia di archeologia, belle arti e paesaggio (che erano separati dal 1975). Ma, direte voi, avranno fatto in modo che il comitatone sia largo tre volte tanto, e che tutte le competenze vi siano rappresentate: certo che no. Attualmente ogni comitato è composto da quattro membri: due nominati dal ministro, uno eletto dal personale tecnico del MiC e un professore nominato dal Consiglio Universitario Nazionale. Il che vuol dire che se anche i due nominati dalla politica obbediscono al padrone, invece di agire secondo scienza e coscienza, essi non hanno la maggioranza. Invece, il supercomitato che dovrà decidere di pale eoliche nel paesaggio, utensili etruschi e pittura del Novecento sarà composto di cinque persone: “da un rappresentante eletto, al proprio interno, dal personale tecnico-scientifico dell’amministrazione tra le professionalità attinenti alla sfera di competenza del singolo Comitato” (quindi al massimo avrà una competenza su tre), da un professore ancora nominato dal Cun (ancora una sola competenza), e da ben tre “esperti di chiara fama” nominati dal ministro. Un comma della riforma prevede che in questo super-comitato “il Ministro assicura, nell’ambito delle [sue] designazioni la presenza di almeno un esperto per ciascuno degli ambiti archeologia, belle arti e paesaggio”.

Il che significa due cose: la prima è che una delle tre aree potrebbe essere coperta da un solo esperto, che diventa a ​ quel punto giudice unico su una parte enorme e vitale del patrimonio nazionale (e se è un cretino, un corrotto di chiara fame, un servo di partito?); la seconda è che i nominati dal ministro hanno sempre e comunque la maggioranza. Maggioranza politica in organo scientifico: credo che in Corea del Nord abbiano più pudore. Ho sperimentato sulla mia pelle (nel caso della presidenza della Fondazione del Museo Ginori) che i fratelli d’Italia hanno una concezione tribale e proprietaria del patrimonio della nazione: un bottino cui i vincitori pensano di avere diritto, in spregio ad ogni idea di merito, e di libertà. La magistratura deve fare le sentenze che vogliono loro: perché hanno vinto le elezioni. L’università deve insegnare le idee che vogliono loro: perché hanno vinto le elezioni. I musei devono esporre le cose che vogliono loro: perché hanno vinto le elezioni. Una dittatura della maggioranza, che assomiglia ad un saccheggio dei beni comuni e dello stesso interesse pubblico, ridotto a interesse di parte.

Con quei comitati, se un ministro della Cultura vorrà far uscire dall’Italia un quadro di un suo amico, vuole consentire uno sfregio paesaggistico da parte di industriali che gli pagano le mazzette, vuole decidere di far prestare un’antichità delicatissima a una mostra voluta da un autocrate suo amico in qualche Ungheria, ebbene non dovrà nemmeno più fare pressioni sugli uffici di tutela: perché avrà inquinato la fonte, cioè il parere tecnico-scientifico. A un livello incomparabilmente più umile, questi comitati condividono la funzione democratica della presidenza della Repubblica, della Corte costituzionale, dei vari gradi di giurisdizione: tutti organi terzi su cui non deve aver potere il potere esecutivo. Ed è proprio per questo che i comitati tecnico- scientifici del MiC sono stati sottomessi: perché il potere (della scienza) non arresti il potere (del governo), secondo una dinamica che, da Montesquieu in qua, è invece considerata l’anima stessa dei regimi costituzionali. Ma noi viviamo ancora in un regime costituzionale, o in un regime e basta?