
(di Giulio Cavalli – lanotiziagiornale.it) – In principio fu la pace giusta. Senza pace giusta si deve continuare a combattere, dicevano dalle parti di Bruxelles. C’era un piccolo particolare, però: gli Stati dell’Unione non riescono a mettersi d’accordo nemmeno su quale combustibile usare per far marciare le proprie auto, figurarsi quanto fosse impossibile decidere cos’è giusto. La giustezza, come la giustizia, appartiene agli idealisti, ai probi, agli integri e ai virtuosi. Niente a che vedere con il pollaio europeo.
Poi, dalla pace giusta siamo passati alla pace duratura, una pace con garanzie di sicurezza. La pace duratura, ad oggi – come scritto nel piano di Trump che Zelensky si era detto pronto ad accettare – consiste nella cessione di territori militarmente conquistati dal satrapo Putin e nella cessione di territori prepotentemente rivendicati dal vessatore Trump.
Ursula von der Leyen, in uno scatto di indecente franchezza, ha quindi sostituito la parola “pace” con il sottotesto soffiato fino ad oggi: riarmo. Scritto chiaro e tondo, a prova di stolti. E non è un caso che Giorgia Meloni, a quanto dicono le cronache, si sia turbata per la schiettezza della sigla RiarmEurope. Dire ciò che si fa ormai è un’abitudine superata, soprattutto in tempi di guerra.
Ovviamente, è resuscitata anche la parola “sicurezza”: dopo aver fatto la guerra per ottenere la pace – missione fallita – ora ci armiamo per fare la pace. La pace costruita con il riarmo di 27 Paesi in ordine sparso. La polveriera europea è pronta.
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Grande Carrie… si continua a costruire la “Piramide del Faraone”…tutti schiavi con una ciottola di riso!
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Quindi ci armiamo perchè?
Faremo la fine dell’ucraina? E’ questo che vogliono USA e Russia?
Quante possibilità di vittoria abbiamo,lo hanno valutato le teste bacate di Bruxelles?
Non ho più parole per questi politici..mandarli a c….e è il minimo sindacale!
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re per gli armamenti si può andare in deroga agli accordi di Maastricht,,,e perchè non farlo per la Sanità,Istruzione ecc,?
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e perché si tratta forse di naziliberisti?
quando lo si capirà forse sarà troppo tardi…!
Ursula Gertrud Albrecht figlia di molto noto gerarca nazi
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infatti
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I 27 della UE si riarmano in ordine sparso per la prossima guerra di tutti contro tutti. Del resto si sa che, come insegna Manzoni, i polli finiscono sempre a beccarsi tra di loro.
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Bellissima citazione (allego il testo perché è proprio un patrimonio della nostra povera Italia):
Fate a mio modo, Renzo; andate a Lecco; cercate del dottor Azzecca-garbugli, raccontategli… Ma non lo chiamate così, per amor del cielo: è un soprannome. Bisogna dire il signor dottor… Come si chiama, ora? Oh to’! non lo so il nome vero: lo chiaman tutti a quel modo. Basta, cercate di quel dottore alto, asciutto, pelato, col naso rosso, e una voglia di lampone sulla guancia.
– Lo conosco di vista, – disse Renzo.
– Bene, – continuò Agnese – quello è una cima d’uomo! Ho visto io più d’uno ch’era più impicciato che un pulcin nella stoppa, e non sapeva dove batter la testa, e, dopo essere stato un’ora a quattr’occhi col dottor Azzecca-garbugli (badate bene di non chiamarlo così!), l’ho visto, dico, ridersene. Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli; perché non bisogna mai andar con le mani vote da que’ signori. Raccontategli tutto l’accaduto; e vedrete che vi dirà, su due piedi, di quelle cose che a noi non verrebbero in testa, a pensarci un anno.
Renzo abbracciò molto volentieri questo parere; Lucia l’approvò; e Agnese, superba d’averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie dalla stìa, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell’orto, per non esser veduto da’ ragazzi, che gli correrebber dietro, gridando: lo sposo! lo sposo! Così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n’andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli. Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.
Giunto al borgo, domandò dell’abitazione del dottore; gli fu indicata, e v’andò. All’entrare, si sentì preso da quella suggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanza d’un signore e d’un dotto, e dimenticò tutti i discorsi che aveva preparati; ma diede un’occhiata ai capponi, e si rincorò. Entrato in cucina, domandò alla serva se si poteva parlare al signor dottore. Adocchiò essa le bestie, e, come avvezza a somiglianti doni, mise loro le mani addosso, quantunque Renzo andasse tirando indietro, perché voleva che il dottore vedesse e sapesse ch’egli portava qualche cosa. Capitò appunto mentre la donna diceva: – date qui, e andate innanzi -. Renzo fece un grande inchino: il dottore l’accolse umanamente, con un – venite, figliuolo, – e lo fece entrar con sé nello studio.
I promessi sposi – capitolo III
edizione riveduta e corretta del 1840-42
di Alessandro Manzoni – Milano 1785-1873
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Notevole l’empatia per quei 4 capponi. Se ne vede poca in giro anche adesso quando passano i camion-stalla per portare al macello tante povere bestie.
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