(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Doveva succedere ed è successo, anche molto in fretta. Javier Milei, il sodale argentino di Trump che vuole cambiare il mondo a colpi di motosega, ha ripristinato le parole «idiota», «imbecille» e «ritardato mentale» per definire i disabili cognitivi nei documenti del governo. Va detto che le aveva già ampiamente sdoganate contro i bersagli politici, a cominciare dal Papa suo connazionale. 

Siamo sprofondati in un circolo vizioso: il linguaggio di Milei è una reazione al politicamente corretto, che a sua volta nasceva come reazione al linguaggio di Milei (e di quelli come lui).

Il politicamente corretto irrita per quanto è stucchevole, il linguaggio di Milei per quanto è violento. Entrambi fanno venire l’orticaria, ma il primo offende solo il buon senso, il secondo anche le persone. L’uno è ipersensibile, l’altro insensibile. Sarebbe auspicabile una via di mezzo affidata al buon gusto e all’umanità dei dicitori, ma sono materie che nella scuola della vita non si insegnano più. Così eccoci alle prese con l’eterno pendolo della stupidità umana, che adesso batte le ore della rivincita contro gli eccessi della cultura «woke». E non sorprende che sia una rivincita sguaiata, perché in chi la cavalca prevale un dispetto, se non un disprezzo, per qualunque forma di fragilità: psicologica, fisica, sentimentale. 

C’è una ostentazione aggressiva e tracotante delle proprie ricchezze e delle proprie certezze che sarà anche molto liberatoria, ma certo è ben poco liberale.