Da settimane si parla molto della “fine del fact checking” sulle piattaforme Meta, e dunque anzitutto Facebook e Instagram. La decisione di Zuckerberg è stata letta da più parti come un plateale […]

(di Andrea Scanzi – ilfattoquotidiano.it) – Da settimane si parla molto della “fine del fact checking” sulle piattaforme Meta, e dunque anzitutto Facebook e Instagram. La decisione di Zuckerberg è stata letta da più parti come un plateale inchino a Trump e un adeguamento a Musk, che nel suo X (in Italia più morto di Italia Viva) permette a tutti di scrivere qualsiasi nefandezza senza controllo. Per questo Pd e giornali ad esso vicino stanno parlando di liberalizzazione delle fake news. Il tema è stato toccato anche una settimana fa a Otto e 1/2: da una parte Travaglio, secondo cui la fine del (mai esistito) fact checking su Meta è un bene; e dall’altra Giannini, per il quale una tale posizione è da “anime belle”. Il tema è interessante e complesso. Da persona che ha usato parecchio i social fino a due anni fa, e che tra 2020 e 2022 aveva una delle pagine Facebook più forti d’Italia, posso parlare con cognizione di causa (e non per sentito dire come troppi tromboni).

Giannini ha ragione quando dice che permettere a tutti di scrivere tutto è di per sé inquietante, perché a quel punto l’unico controllo spetta al lettore, e in un paese dove l’analfabetismo funzionale è altissimo e in pochi leggono un libro, sperare nell’intelligenza dei follower è come sperare nel Nobel a Donzelli. Siamo d’accordo. Ed è vero anche che Zuckerberg è un pavido totale, desideroso di riallinearsi a Trump nella speranza di un tornaconto e al contempo di un rilancio del moribondo e rancoroso Facebook. Il problema però è che Facebook faceva schifo anche prima, per il semplice fatto che non c’era alcun “controllo”. Ciò che tanti chiamano con allegro eufemismo fact checking, era in realtà censura. Una censura odiosa e pure idiota, perché in mano a un algoritmo spietato e a un gruppo di ragazzini stolti – e mal pagati – che bloccavano e “silenziavano” post/pagine per motivi ora politici e ora semplicemente idioti (parole fraintese, bigottismo, etc). Non è che prima ci fossero Montanelli, Biagi e Bocca, instancabili nel controllare 24 ore su 24 la veridicità delle notizie: c’era un mix tra il Ministero della Verità (che impediva di parlare di Gaza o di contestualizzare il conflitto in Ucraina) e la Sagra dei Censori Mentecatti. Un autentico obbrobrio, peggiorato dal fatto che i post politici venivano sistematicamente messi in secondo piano – perché troppo “divisivi” – a favore di contenuti più ridanciani e gossippari. Il concetto poi del “vero” e del “falso” è scivolosissimo: un “controllo” può forse rimarcare fatti inconfutabili (tipo una data storica), ma chi dovrebbe decidere per esempio se il “vero” coincide con Travaglio o Giannini? Il campo diverrebbe minatissimo. È vero che con questa “liberalizzazione” si mettono sullo stesso piano Barbero e il più invertebrato neuronale degli ultrà novax (che, in quanto invertebrato, straparla ora di “censura” e crede che tesi come la mia portino a una rivalutazione delle loro porcate). Ma i social erano indecenti anche prima, come ben sa chi ha provato a fare anche solo mezza volta un video su Gaza. E paradossalmente adesso Meta migliorerà (o comunque non peggiorerà). Si dirà: come si può migliorare sul serio la situazione? Come se ne esce? Facile: non se ne esce.

I social sono ontologicamente delle fogne a cielo aperto, e le uniche salvezze (minime) sono due. Sperare (vanamente) in una maggiore alfabetizzazione degli internauti. E introdurre l’obbligo di nome e cognome (reali) a tutti. In questo modo – abbattendo l’anonimato – le cazzate resterebbero, ma odiatori e avvelenatori di pozzi verrebbero perseguiti, e quindi ci penserebbero due volte prima di vomitare carognate (lasciatevelo dire da uno che, da tre anni, si fa pagare le vacanze dagli hater ). Sono solo palliativi? Probabile, ma purtroppo non esiste nessuna ricetta magica per regolamentare veramente la suburra putrescente che sono – e temo saranno – i social.