
(di Michele Serra – repubblica.it) – Gli incappucciati che hanno sfasciato il centro di Bologna, e in generale chi sfascia le città, che sono di tutti, hanno come bersaglio: tutti. Indiscriminatamente: tutti. Non la polizia o il governo o i padroni. Non Israele o Trump o le multinazionali.
Il loro nemico oggettivo, evidente, ciò che colpiscono e umiliano, è la comunità nel suo complesso. Sono le strade su cui tutti camminano, i negozi nei quali tutti entrano, i cassonetti che tutti usano. Sono i luoghi e le cose che raccontano il nostro abitare, il nostro transito quotidiano, il nostro incontrarci, parlarci e sopportarci l’un l’altro.
Pochi atti sono politicamente espliciti, inequivocabili come la devastazione di una città. Se colpisco una città, se la danneggio, vuol dire che le sue condizioni e la sua sorte non mi interessano. Che non mi importa di lei, della gente che ci vive e ci lavora.
Che se ci vivo e sono un indigeno, se quella città è anche la mia, non mi produce nessun rincrescimento ferirla e sottometterla; se non ci abito, e sono venuto da fuori a fare danni, sto semplicemente esercitando il mio gusto agonistico per lo scontro nel primo teatro disponibile, come un ultrà in cerca di risse, e domani andrò altrove a lasciare le mie tracce, i miei danni, l’impronta dello scarpone militare che ha preso il posto, si spera temporaneamente, del mio cervello.
Non c’è nessuna attenuante politica, per chi fa danni alla città. Il pretesto politico è semmai un’aggravante, è l’uso indebito di una causa, non importa se nobile o ignobile, per giustificare l’eccitazione che si prova a fare danni. Tra i danni collaterali, le dichiarazioni stucchevoli degli esponenti politici, prevedibili parola per parola anche prima di udirle nei telegiornali.
Moreno Pisto – mowmag.com) – Invece di condannarli e basta, ragionate. Ascoltatemi proprio voi che non la pensate come me. E pensate alla loro rabbia. Pensate da dove nasce, da quale senso di ingiustizia viene. Milano, Bologna, Roma, Torino. Proteste, scontri con la polizia, frasi unanimi a condannarle. Ma non basta così. Non serve così.
Perché voi che fate l’elogio dell’ordine, che solo quando è il caso di fare propaganda o avere qualche like in più urlate la vostra vicinanza alle forze dell’ordine, probabilmente siete quella parte di Italia che non si accorge o finge di non accorgersi – sia per quieto vivere, per spirito borghese, per conformismo sociale – che là fuori, laddove c’è chi non ha nulla, né una famiglia alle spalle, né una minima integrazione – c’è una situazione davvero pesante, che rischia davvero di esplodere come non siamo più abituati a vedere.
E la cosa assurda è che tra gli sfruttati e gli emarginati di questa società ci sono pure la polizia e i carabinieri. Perché mentre il governo parla di dare 1 miliardo e mezzo a Musk, se voi andate negli uffici della Digos troverete computer e attrezzature datati: sono sottopagati, sottostaffati, anch’essi sfruttati da uno Stato che non tratta per niente bene i suoi dipendenti.
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Chi ha protestato per Ramy e i poliziotti per strada sono due fazioni dello stesso disagio sociale. Solo che chi protesta per Ramy è allo stato più emarginato, estremo di questa realtà. Una volta Pasolini parteggiava per i poliziotti perché avevano davanti i figli di papà. Questi qui invece non hanno niente. È gente che non ha futuro. Che percepisce sulla propria pelle l’assenza di futuro, di essere fuori da qualsiasi possibilità di futuro. Perché hanno davanti un modello di società che parla solo di soldi e successo e loro a quel modello non potranno mai accedere.
E vi dirò di più, non è un caso che nella vicenda dell’incidente di Ramy, sia chi guidava lo scooter sia il carabiniere che guidava l’auto, le due parti più esasperate in questa tragedia sociale, siano indagati per lo stesso reato, omicidio stradale. È una metafora perfetta per descrivere che in realtà la lotta non è tra maranza e polizia, tra immigrati e bravi cittadini, come ce la raccontano i media, come vogliono farcela sembrare. La lotta, ricordate, è sempre tra chi ha e può avere e tra chi non ha e non può avere niente. La lotta è tra lo Stato e tra quelli che – chi più chi meno – vengono sfruttati. Infatti la dinamica dell’incidente oramai è passata in secondo piano. Qualsiasi cosa sarà dimostrata nel processo non conterà. Perché il vero punto della questione è la frattura sociale. E su questo aspetto cosa ha intenzione di fare nel concreto l’Italia? Nel concreto, al di là dei discorsi di propaganda, non è dato sapere.
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In poche parole, come al solito, si cerca di risolvere gli effetti e non le cause che hai elencato giustamente.
Troppo comodo: ma riconoscere di aver sempre sbagliato volutamente è molto difficile,perchè metterci la faccia? E chi se ne frega!.
Il casino sarà quando, troppo tardi, si ribellerà non la città, ma i cittadini!
Piano piano si sta sgonfiando tele-propaganda, poi i nodi verranno al pettine e le rogne rimarranno a chi viene dopo: gne, gne, ci hanno lasciato questo …quello. ecc… ma quando ti sei candidato lo sapevi,,,quindi fare la vittima per che cosa… per la poltrona e nient’altro.
Le comiche.
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basterebbe farli pagare con i lavori forzati ,tanto non hanno nemmeno gli occhi per piangere
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Io farei un distinguo . Se se rompe per il gusto di distruggere e sfogare le proprie nefandezze mentali , è ovvio che ciò va relegato come spazzatura e negata ad esso qualsiasi giustifica . Ma se si entra in un contesto in cui vi è una rivolta ad un sistema del quale una parte della popolazione non gode benefici ma solo i lati negativi ,allora il discorso cambia e di molto . Ma del resto il Serra degli anni settanta dovrebbe saperlo .
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Ma dopo tutto ciò che abbiamo imparato sui mandati, sugli armatori di questi “black-block”, sui servizi, sui poliziotti, siamo ancora qui a menare il torrone contro quelli che sfasciano il “bene comune”?!?! Serra, e ho detto tutto.
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