
(Renzo Rosso – ilfattoquotidiano.it) – Chi vive a cavallo tra due Regioni, come me, è mestamente consapevole della incomunicabilità del servizio sanitario nazionale. Molto più autorevolmente, lo ribadisce una prestigiosa rivista medica, The Lancet. L’editoriale di pochi giorni fa mette a nudo il regno sanitario italiano, devoluto a valvassori regionali e valvassini locali che hanno spremuto ogni risorsa disponibile. L’anonimo editorialista scrive che “un punto debole del sistema sanitario italiano è la frammentazione della infrastruttura dei dati sanitari: non esiste un sistema unificato e centralizzato per documentare e condividere le cartelle cliniche elettroniche (EHR), i dati ospedalieri e i registri dei medici di famiglia”.
Aggiungo che, fino a poco tempo, fa le cartelle cliniche di una Azienda Sanitaria Locale ligure erano invisibili non soltanto ai colleghi lombardi, ma anche agli stessi operatori di altre Asl della Liguria. E viceversa. Nel corso degli anni, i sistemi informativi sono stati sviluppati autonomamente, con costi stratosferici, efficacia modestissima, efficienza sui generis. Mentre Instagram dialoga con Facebook e Whatsapp e traferisce e assorbe informazioni dall’intera catena social, Savona non si parlava con Genova e viceversa. E, tuttora, Liguria e Lombardia si guardano in cagnesco, evitando di condividere i propri dati, che poi sono i nostri dati. Nella civiltà dell’intelligenza artificiale, i dati sono il brodo di coltura della vita. Tanto più quelli della nostra salute.
La conclusione dell’editoriale di The Lancet è lapalissiana. “La causa principale è l’ampia autonomia regionale, con 20 regioni che operano in modo indipendente, mettono in atto politiche e adottano tecnologie diverse, creando frammentazione normativa e inefficienze. La scarsa interoperabilità tra regioni e ospedali, oltre alla mancanza di sistemi automatici di caricamento dei dati nelle cliniche private, compromette l’efficacia del sistema nazionale di EHR, il Fascicolo sanitario elettronico, concepito per seguire la storia sanitaria dei pazienti e che, a causa di questi difetti strutturali, risulta in gran parte inefficace”.
In campo sanitario, la frammentazione regionale ha prodotto un enorme spreco di risorse. Moltiplicare gli appalti e le consulenze informatiche per venti volte ha alimentato deficit stellari senza alcun beneficio, tranne che per i beneficiati diretti. E ha sottratto le risorse destinate a medici, infermieri, strutture, dispositivi. Anzi, la potestà regionale ha trasformato la modernità dello strumento telematico in un maleficio a scapito della salute, fisica e mentale, e del portafoglio dei cittadini. E, per superare l’incomunicabilità, servirà una ulteriore valanga di quattrini.
In un paese che invecchia rapidamente, sperperare le risorse sanitarie è un delitto. Ma non è il solo spreco prodotto dalla scellerata politica di “devoluzione”, calco dell’inglese devolution, un neologismo nato a cavallo del millennio e presto diventato una parola arcaica, ormai scomparsa dalle gazzette e dai social. In quasi tutti i settori macinati dal frantoio regionale, le sovrapposizioni, lo sperpero, la umiliazione della competenza sono stati la norma. Senza contare il naturale e automatico effetto della moltiplicazione dei pani, dei pesci e dei dirigenti apicali in un paese che conta un generale ogni 378 militari, quando a libro paga degli Stati Uniti c’è un generale ogni 1.440 soldati.
Sostenibilità ambientale e governo del territorio, cartografia e meteorologia, lavori pubblici e trasporti, formazione professionale e valorizzazione dei beni culturali hanno subito una frammentazione tecnologica insopportabile, una proliferazione legislativa spesso incomprensibile, una elefantiaca esplosione burocratica. Nel 2023 la spesa pubblica ha superato 1.100 miliardi di euro, circa il 55 percento del Pil. Aveva superato la soglia del 50 percento nel 1990 e nel 1993 aveva segnato il picco storico del 57 percento.
Ma c’è una differenza, rispetto a oggi. Allora, la comunità gestiva ancora le autostrade e i trasporti aerei e navali, produceva l’acciaio, le navi, i treni, le auto e perfino la passata di pomodoro e i panettoni; e possedeva asset rilevanti, un patrimonio enorme di beni mobili e immobili. In gran parte privatizzato dalle dismissioni neoliberiste, gestite soprattutto da governi di centro-sinistra o cosiddetti tecnici. Il grasso che avvolgeva lo Stato italiano è stato bruciato a favore quasi esclusivo della burocrazia, non della crescita economica e sociale. E, in caso di necessità, la burocrazia non è un asset facilmente valorizzabile né, tantomeno, monetizzabile.
Parecchi dati economici e svariate evidenze sociali indicano come la regionalizzazione del paese abbia peggiorato la vita delle persone, penalizzato l’economia, privilegiato l’assalto della finanza ai beni comuni, senza migliorare sensibilmente il livello culturale, l’istruzione, il benessere, il senso civico degli italiani. È una tra le principali cause, anche se non la sola, di un declino nazionale che appare inarrestabile. Anziché rimuginare riforme sempre più avventate, non sarebbe il caso di prendere in considerazione un ritorno al futuro?
In occasione del prossimo referendum sulla riforma costituzionale, approvata dal Parlamento nel 2024, perché non affiancare un quesito sulla opportunità o meno di mantenere l’ordinamento regionale? L’opinione della gente non è irrilevante sulle questioni istituzionali. Abolire le Regioni, ritornando allo Stato nazionale e alle deleghe provinciali, non dovrebbe essere un tabù, una idea affatto inconcepibile, ma un argomento di riflessione, una materia da esaminare con realismo, un tema di dibattito democratico. In fondo, le province custodiscono una eredità storica e culturale assai più profonda e radicata di quella regionale. Tranne alcune eccezioni, le Regioni così come sono oggi, non sono mai esistite sulle carte geografiche della storia.
Ringraziamo la riforma del 2001 per inseguire la Lega.
Ricordo l’arroganza di Formigoni che rispondeva ad un meridionale che non aveva gli stessi diritti di essere curato di un lombardo, dicendo che è incostituzionale chiedere che tutti i cittadini siano curati allo stesso modo! Perché hanno riformato la costituzione e adesso vorrebbero sfasciarla ulteriormente!
Tanto a lorsignori il problema delle cure non si pone, loro sono privilegiati!
La Polverini quando andò a curarsi in un ospedale pubblico, si trovò sgombrata la corsia per motivi di privacy, quando magari 5 piani sotto c’era gente che stava giorni al pronto soccorso in attesa di un ricovero.
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Il declino della sanità dipende da tanti aspetti di cui la gestione regionale è solo uno degli aspetti.
Il primo motivo è dovuto ai continui anni che da lustri riguardano la sanità e non solo; si è avuta una prima accelerazione nel 2008 dopo la crisi dei mutui subprime e successivamente con il governo Monti quando ci fu la crisi dei debiti sovrani. Tagli di spesa che si traducono in strutture fatiscenti e obsolescenza dei mezzi. Questo non dipende certo dalle regioni
Altro motivo che ha contribuito ad aggravare la situazione è la mancata sostituzione del personale anziano con quello più giovane (il blocco del turnover) a questo bisogna aggiungere la fuga di molti medici verso stati esteri dove le condizioni lavorative, retributive e “raccomandative” sono migliori. Anche questo non dipende dalle regioni.
Altro motivo è da attribuire alle “riforme” della giustizia che hanno favorito o meglio eretto a sistema il malaffare che pure era preesistente; gli sprechi ed il magna magna non sono nati con la “regionalizzazione” della sanità esistevano anche ai tempi di Guido Tersilli.
Altro motivo è il canto delle sirene delle lobbies della sanità privata che tanto ammalia i politici nostrani; il sistema di convenzione con le cliniche private ha drenato ingenti risorse alla sanità pubblica che sommate ai tagli imposti per far quadrare i vincoli di bilancio hanno avuto l’effetto devastante di cui ora si fa un gran parlare. La lobby della sanità privata opera non solo a livello regionale, ma anche statale.
Altro motivo che mette sotto pressione il sistema sanitario è la demografia, l’invecchiamento della popolazione che fa crescere la domanda di servizi sanitari. L’invecchiamento della popolazione non dipende dalle regioni.
Altro motivo è la politicizzazione dei vertici aziendali; persone fedeli al leader politico ed incapaci di svolgere il proprio lavoro assumono ruoli dirigenziali con conseguenti sprechi ed inefficienze.
Se anche la gestione del sistema sanitario tornasse in capo allo stato, molti dei problemi di cui sopra rimarrebbero irrisolti e quindi, sotto questo profilo, abolire le regioni non porterebbe alla soluzione del problema.
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Poltrone sofà…. il paese che ha più presidenti,consiglieri,probiviri e revisori nelle associazioni e comitati: organismi che sembrano tutelare il cittadino,invece lo massacrano e insabbiano i problemi invece di risolverli-
Il Presidente. sotto il vice, sotto il suo segretario,sotto il consigliere con la sua segretaria e l’ultimo è il cittadino il quale ha solo un numero verde…a cui non risponde mai nessuno…”lei è in attesa la sua chiamata è la prima , tutti gli operatori sono impegnati”…. e la solita MUSICHETTA che ti prende pure per i fondelli.
Parliamo anche delle organizzazioni di assistenza,professioni,avvocati,commercialisti,starup,fondazioni con i relativi dirigenti eccc… ma la carretta non la tira nessuno!
L’umanità sta regredendo…. ma nessuno se ne accorge…ci fanno vedere un mondo tutto diverso….!
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Di recente ho avuto modo di toccare con mano l’inefficienza del SSN. Abito nella ricca Brianza e il mio paese ha un nuovissimo ospedale (in sostituzione di un ancor efficientissimo “vecchio ospedale”) che ha le sembianze di un moderno aeroporto internazionale. Io, malato cronico, prenoto annualmente delle visite di controllo e, da quando esiste il nuovo ospedale, mi risulta quasi impossibile accedervi, vedendomi dirottare sistematicamente le mi richieste verso ospedali diversi nella regione. Recentemente, dovendo prenotare una visita di controllo, ho tentato nuovamente di farlo, con un anno di anticipo, nel locale ospedale e la dirigente del CUP mi ha detto che avendo fatto negli anni scorsi la visita di controllo in altro ospedale (15km da casa), dovevo recarmi nuovamente nello stesso presidio ospedaliero. A nulla è valso spiegare che le visite precedenti le avevo fatte in altri presidi ospedalieri proprio perchè mi era stato negato il diritto/privilegio di poterle fare nel paese di residenza, e che abito qui e ci pago le tasse da 35 anni ed è per me scomodo e sconveniente andare altrove per una visita di controllo. Leggendo questo articolo capisco che ormai la mia cartella clinica risiede in un database inaccessibile al presidio ospedaliero del mio paese e devo rassegnarmi, come tanti, ad essere un paziente viaggiatore.
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Evviva! Finalmente qualcuno se ne è accorto, sono anni che lo dico e l’ho proposto anche agli stati generali del M5S senza esito, le regioni vanno abolite!
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