Nella sezione del Movimento sociale italiano nel quartiere Tuscolano a Roma nel 1978 vengono uccisi tre ragazzi: un delitto che va pagato con altro sangue.

(Michela Ponzani – repubblica.it) – Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni. È il 7 gennaio 1978 quando tre giovani missini iscritti al Fronte della gioventù, vengono uccisi in un agguato organizzato dai Nuclei armati per il contropotere territoriale (Recchioni, militante della sede di Colle Oppio, è vittima della pallottola di un capitano dei carabinieri, intervenuti a sedare la protesta dei giovani neofascisti davanti alla sede del Msi). L’obiettivo è colpire Acca Larentia, la sezione del Movimento sociale italiano nel quartiere Tuscolano a Roma. Gli assassini non verranno mai individuati. Ma la morte dei tre ragazzi è un delitto che va pagato con altro sangue.
“Organizzammo una spedizione punitiva, una rappresaglia. Io ne ho ucciso uno e nei suoi occhi ho visto la sorpresa”. La memoria di Giuseppe Valerio Fioravanti, il fondatore dei Nar (per gli amici camerati “Giusva”), si tinge di autoassoluzione quando rivendica con orgoglio la voglia di uccidere per vendicare i morti. Nessuno lo ricorda mai, ma il colpo di pistola che il 28 febbraio 1978 ha ammazzato a sangue freddo Roberto Scialabba, studente di Lotta continua del quartiere Don Bosco (alla periferia di Roma est), è per la destra eversiva parte di un rituale dalla precisa simbologia: “hanno ammazzato due dei nostri, noi prendiamo due dei loro”. E lo facciamo, non a caso, nel giorno dell’anniversario di Mikis Mantakas, studente greco del Fuan (Fronte universitario d’azione nazionale) ucciso nel 1975.
La ritorsione cementa il senso di appartenenza per i camerati che si sentono i “vinti” della storia, “pronti a risorgere e combattere di nuovo”, come se fossero chiamati a una sacra missione. Per la destra nostalgica le vittime di Acca Larentia non sono corpi da piangere ma camerati da celebrare con un rito dalla forte liturgia identitaria, che trasforma i morti ammazzati in caduti, in un lutto che esalta il mito degli “sconfitti” e delle “vittime del sistema”, come recita la voce di Corrado D’Elia, durante la marcia funebre, che ogni anno anima la ricorrenza. Una leggenda nera (che sa tanto di preghiera laica) fatta di camerati “reietti”, “respinti”, come se le lancette della storia fossero rimaste a quegli anni ’70, quando i cortei studenteschi e le manifestazioni di piazza si infiammavano a suon di pestaggi, denti spaccati e teste fracassate. Quando la rabbia si trasformava in furia omicida, partorendo odio per generazioni. “Siamo solo noi contro tutto il mondo. O meglio, tutto il mondo è contro di noi”. Marcello De Angelis, ex militante di estrema destra, ricorda ancora oggi il giuramento fatto sul sangue, davanti alla bandiera d’Italia che tanti giovani ammutoliti si passano di mano e vogliono toccare come un sacro simulacro. Una ferita aperta, un trauma mai elaborato che si trasforma oggi in un tentativo di riscrittura del passato: questo è Acca Larentia per l’attuale classe dirigente. Un passato che non passa, trasformato in uso pubblico della storia.
Nessuno vieta il lutto e il ricordo dei propri morti (ogni gruppo sociale o politico ha la sua memoria, ed è giusto che sia così). Ma in un paese che attende da troppo tempo una parola sulle tante verità negate, c’è soprattutto un bisogno di giustizia, che si deve ai morti (oltre che ai sopravvissuti). E allora sarebbe necessario un atto di onestà intellettuale: dire cioè che i morti di Acca Larentia sono vittime della violenza politica degli anni di piombo, non martiri della nazione. Non è un caso che il quartiere Appio Latino (storicamente antifascista) sia oggi disseminato da pietre d’inciampo a ricordo di chi martire della nazione lo è stato davvero. Giovani partigiani di nemmeno vent’anni, “sorvegliati speciali” sotto inchiesta di polizia per la loro attività clandestina, venduti alle SS da spie italiane e massacrati nella strage delle Fosse Ardeatine, per dirne una. Noi siamo ciò che scegliamo di ricordare. E allora varrebbe la pena prendere parte alle celebrazioni per l’anniversario della strage di Piazza della Loggia a Brescia, per ricordare tutti quegli insegnanti assassinati
il 28 maggio 1974 da una bomba piazzata in un cestino dei rifiuti, per mano di gruppi terroristi neofascisti. Riscrivere la storia (per una pretesa di egemonia culturale), ribaltando il peso delle colpe e delle responsabilità, può fare molto comodo, specie in un paese affetto da clamorosi processi di rimozione collettiva (se non di ignoranza sul proprio passato). Ma la ricerca di una pacificazione non può lasciare spazio a sentimenti nostalgici mai sopiti, che ancora offuscano il giudizio sui tanti fatti di sangue. Vite spezzate dal piombo, come quella di Danila, madre di Fausto Tinelli ammazzato il 18 marzo 1978 a Milano in mezzo alla strada, insieme al suo amico Lorenzo Iannuzzi (Iaio), da un commando dei Nar appositamente venuto da Roma. Sono tante le famiglie italiane lasciate sole a piangere il sangue dei loro figli, come del resto fu anche per i morti del 7 gennaio. E se la destra di governo vuole davvero farsi classe dirigente, allora deve mostrarsi più coraggiosa: sfogliare l’indicibile album di famiglia del neofascismo, senza timore di affrontare una volta per tutte i traumi del passato. Per un dovere di verità storica e di rispetto verso le vittime e i loro famigliari, che giustizia non l’hanno mai avuta. Perché il Paese non ha bisogno di liturgie che celebrano il culto del sangue o di squadristi infiammati dall’idea immortale della rivoluzione fascista. Ma di verità, sì.
Visto che questi hanno tanta voglia di menar le mani, andassero ad Est.
Il Don Bass ha abbastanza terra per tutti i loro teschi.
"Mi piace"Piace a 2 people
non so Sparviero……
secondo me a questi piace solo menarsi qualcos’altro e quello lo fanno benissimo….
( ovviamente parlo solo dei cameratini maschi)
"Mi piace""Mi piace"
Tra di loro, tipo trenino ciuf ciuf che arriva sempre in orario, come da tradizione.
"Mi piace"Piace a 1 persona
A parte la pena che provo come al solito nei confronti dei poveri scribacchini di repubblica/corriere etc. costretti a scrivere sempre e solo sotto dettatura, ma perchè la menano ancora con sta storia del “pericolo fascismo” in Italia?
Sarà mica per non ammettere che la meloni sta facendo esattamente ciò che ha sempre fatto il loro guru draghi e tutti gli altri PdC pidioti?
Se i tizi a braccio teso dell’inchiesta di fanpage avessero quel minimo di intelligenza che serve per organizzare e portate a termine un eventuale golpe sarebbero stati così coglioti da farsi beccare con le mani sporche di marmellata?
"Mi piace""Mi piace"
"Mi piace""Mi piace"
Il Rito di 100 1000 “residuati bellici” del concetto “militare” della militanza continua ad avere uno spazio inutilmente fuori luogo. Determinando discussioni e pseudoapprofondimenti di una parte e dell’altra.
E si è così superficiali da non mettere mai la lente d’ingrandimento sulla vera natura della strategia della tensione, fase storico/politica dove il sangue che è scorso ha quasi sempre colpito persone innocenti. Che fossero i ragazzi di Acca Larentia o i Sergio Ramelli o i Walter Rossi o i Fausto e Iaio. O le tante vittime civili delle stragi.
E proprio non focalizzando il vero problema, la vera natura di quella stagione, quelle inutili bracce tese di celebrazione/rivendicazione continueranno a ingannarsi come vittime dell’odio politico ( che pure c’era) soprassedendo al VERO tema che dovrebbe interrogarli. E cioè perché una parte rilevante di quel mondo giovanile “neofascista” sia stato usato e funzionale ad un Potere esterno ( gli USA) con complici i Servizi italiani e parte del Potere democristiano, in funzione anticomunista.
Giocare a fare la vittima è più comodo che assumersi le responsabilità di aver convissuto politicamente con una masnada, non solo di “teste calde” a propensione delinquenziale, ma anche a veri e propri doppiogiochisti al servizio del Sistema ( che poi si raccontavano a loro avverso). Perché è troppo comodo immaginarsi verginelli per i Bigonzetti o i Ramelli, uccisi vigliaccamente, da innocenti quali erano. Ci si vergogni allora, anche e soprattutto, dei Delle Chiaie, dei Giannettini, o di tutto quel mondo che gravitava tra Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, dalle cui fila pescava torbidamente il mondo dei Servizi nazionali ed extranazionali.
Anche loro sono nell’album di famiglia.
"Mi piace"Piace a 4 people