
(di Nicola Scuderi – lanotiziagiornale.it) – Il 2024 è stato un anno amaro per gli italiani: secondo l’Istat la pressione fiscale è schizzata al 39,6% del Pil, in aumento di 0,9 punti rispetto all’anno precedente quando si fermava al 38,7%. Stando alle ultime rilevazioni del prestigioso ente statistico, le uscite totali nel terzo trimestre 2024 sono diminuite del 4,4% rispetto al corrispondente periodo del 2023 e la loro incidenza sul Pil (pari al 47,1%) è diminuita in termini tendenziali di 3,6 punti percentuali. Nei primi tre trimestri del 2024 la relativa incidenza è stata pari al 48,5%, in riduzione di 2,5 punti percentuali rispetto al corrispondente periodo del 2023. Le uscite correnti hanno registrato, nel terzo trimestre 2024, un aumento tendenziale del 4,8% mentre le uscite in conto capitale si sono ridotte in termini tendenziali del 47,8%.
Le entrate totali nel terzo trimestre 2024 sono aumentate in termini tendenziali del 3,9% e la loro incidenza sul Pil è stata pari al 44,9%, in aumento di 0,5 punti percentuali rispetto al corrispondente periodo del 2023. Nei primi tre trimestri dell’anno, l’incidenza delle entrate totali sul Pil è stata del 44%, in aumento di 0,4 punti percentuali rispetto al corrispondente periodo del 2023. Le entrate correnti nel terzo trimestre 2024 hanno segnato, in termini tendenziali, un aumento del 5,4% Si registra, invece, una riduzione delle entrate in conto capitale del 66,4%.
Schizza la pressione fiscale e calano pure i profitti e gli investimenti delle imprese
Giù anche i profitti e gli investimenti delle imprese. Sempre secondo l’Istat, la quota di profitto delle società non finanziarie, nel terzo trimestre del 2024, è stata pari al 42,4%, con una diminuzione di 0,3 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. In termini congiunturali, la flessione di questo indicatore è il risultato di una stazionarietà del risultato lordo di gestione e di una crescita dello 0,7% del valore aggiunto.
Il tasso di investimento delle società non finanziarie nel terzo trimestre del 2024 è stato pari al 21,7%, in diminuizione di 0,4 punti percentuali rispetto al trimestre precedente a fronte di una flessione degli investimenti fissi lordi dell’1,1%. “Le società non finanziarie – è il commento dell’Istat – mostrano una diminuzione congiunturale sia della quota di profitto sia del tasso di investimento, confermando la tendenza alla loro riduzione osservata a partire già dai primi mesi del 2023”.
LE TASSE SONO AUMENTATE- Viviana Vivarelli
Meloni e Giorgetti possono dire tutte le balle che a loro pare e i giornaloni possono uscire tutti con gli stessi titoli fotocopia che inneggiano ai progressi meloniani, uniformi come un unico Istituto Luce, ma i numeri dicono una realtà diversa da quella propagandistica.
Gli Italiani sono diventati più poveri.
L’inflazione è ripartita. I salari no.
Tutto è diventato più caro.
I poveri sono diventati più poveri. I ricchi più ricchi. La sperequazione sociale è cresciuta mentre, nello stesso tempo, lo stato sociale è diminuito, i servizi pubblici sono peggiorati (basti vedere i treni), il PIL è calato. E lo spread non è sceso in proporzione solo perché commisurato a una Germania in forte recessione a causa dei danni dalla guerra ucraina e dalla contrazione del mercato dell’auto.
La Germania era la locomotiva d’Europa, tanto che l’andamento di ogni Paese europeo veniva commisurato sul PIL tedesco. Ma oggi la stessa Germania è entrata in una crisi profonda sia economica che politica. Le cause di questo crollo sono:
– il costo dell’energia: L’aumento dei prezzi energetici, accentuato dall’interruzione delle forniture di gas russo a seguito dell’invasione dell’Ucraina, ha ridotto la competitività delle industrie tedesche, in particolare nei settori chimico e siderurgico.
– la dipendenza dalle esportazioni: La Germania, essendo un grande esportatore, è vulnerabile alle fluttuazioni dei mercati globali. La diminuzione della domanda, specialmente dalla Cina, ha colpito duramente settori chiave come quello dell’auto.
– la transizione energetica e digitale: Il passaggio verso un’economia più sostenibile e digitalizzata ha creato pressioni sui modelli aziendali tradizionali, generando incertezze e frenando i consumi interni.
L’inflazione elevata ha ridotto il potere d’acquisto delle famiglie, influenzando negativamente i consumi privati. Parallelamente, l’aumento dei tassi di interesse (BCE) ha reso più costosi i finanziamenti, frenando gli investimenti.
Tutto questo ha innescato una crisi politica, dopo il governo solido della Merkel, per cui la Germania per la seconda volta va alle elezioni ma non c’è una Merkel che con molta abilità seppe fare un governo di coalizione.
Il risultato è una stagnazione economica, con previsioni di crescita modeste per il 2025, per cui la Germania ha perso la sua posizione di leader in Europa.
Tornando all’Italia, contro le bugie ormai sistematiche della Meloni, le tasse sono aumentate.
In un anno sono schizzate al 39,6% del Pil, in aumento di 0,9 punti rispetto all’anno prima.
Per capire cosa significa in euro partiamo dal valore del PIL.
Il PIL nominale nel 2023 è stato di circa 2.000 miliardi di euro. 39,6% di 2.000 miliardi di euro = 2.000 × 0, 396 = 792 2.000×0,396=792 miliardi di euro.
Tasse al 38,7% del PIL (prima dell’aumento): 38,7% di 2.000 miliardi di euro = 2.000 × 0,387=774
2.000×0,387=774 miliardi di euro.
Differenza in euro (aumento): 792 – 774 = 18 miliardi di euro.
Quindi, un aumento di 0,9 punti percentuali equivale a circa 18 miliardi di euro in più di tasse raccolte.
Ovviamente, se aumentano le tasse, scendono i profitti e gli investimenti delle imprese, sia quelle finanziarie che non.
Davvero un bel risultato!!!
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