
(Lorenzo Palaia – lafionda.org) – Vorrei prendere a pretesto l’episodio del divieto, opposto dal Comune di Roma al trapper Tony Effe di esibirsi al concertone di Capodanno, per riflettere sulla pubblica espressione delle opinioni e delle arti andando oltre la questione della censura, del sessismo e del politicamente corretto, come invece perlopiù i giornali hanno trattato la vicenda. Al limite qualcuno si è posto il problema della capacità delle istituzioni pubbliche di indirizzare la cultura, ma a mio avviso non è neanche questo il punto. La solidarietà ricevuta dall’artista da parte degli altri partecipanti (Mahmood e Mara Sattei tra gli altri) e di altri artisti ha provocato una diserzione generale dal concertone del Circo Massimo, alla quale ora il comune sta cercando di mettere una pezza trasformando l’evento in un concerto dall’età media di partecipazione sicuramente più alta e quindi inevitabilmente ridimensionato, pur con la partecipazione dell’ottima PFM e di nomi iconici quali Gabry Ponte. Non sono mancati tuttavia interventi in difesa del comune: da parte del poeta Mogol ad esempio, scrittore dei testi di Battisti, che condivide le accuse di sessismo rivolte al cantante e appoggerebbe una censura, rispetto a questi temi, anche più severa e sistematica; ma anche da parte del cantante Povia, che si è proposto come alternativa per il concertone ma che in quanto deviante dalla linea ideologica del censore (perché conservatore e no-vax) non è stato ovviamente preso in considerazione. A rendere il tutto ancora più gustoso, Tony Effe si esibirà comunque la notte di Capodanno al Palalottomatica dell’Eur a un prezzo simbolico, forse in compagnia proprio di Mahmood e di Mara Sattei, mettendo ancora più in ridicolo un’amministrazione che di figuracce ne ha collezionate parecchie. A questo punto comunque l’oggetto d’osservazione si rende più semplice: da una parte il concerto promosso dalle autorità, con un pubblico di età medio-alta, dai contenuti accettati e accettabili, con ospiti dal successo consolidato in decenni; dall’altro quello della generazione Z e dei millennial, osteggiato dal comune e da parte della classe politica e intellettuale (sia la destra che la sinistra, sia la politica che i giornali, sia molti intellettuali hanno solidarizzato con il comune di Roma), dai contenuti non accettati e probabilmente anche inaccettabili, ma che sicuramente avrà un grande successo di pubblico, forse anche superiore a quello del concerto ufficiale.
In Italia il rap è stato raccolto, fin dai primi anni ‘90, dapprima in ambienti più di nicchia e politicizzati (AK-47, Assalti Frontali ecc.), poi piano piano espandendosi, ma mantenendo spesso il carattere di critica sociale (Quelli che benpensano di Frankie Hi-NRG rimane un classico). A questi contenuti se ne aggiungono altri che, invece di una critica esplicita, esprimono un generico malessere, a volte un semplice non saper stare al mondo, un senso di disadattamento tipico dell’età giovanile (che si ritrova catapultata in un mondo che non soddisfa o non piace affatto, di cui si devono accettare regole scritte da altri) che trova spesso nel non-senso la sua espressione poetica: qualche canzone del vecchio collettivo Truceklan può rendere l’idea. A ciò si aggiunge un filone più lirico ed esistenziale, celebrativo dei luoghi del cuore, tipicamente il quartiere o a volte la città (cfr., tra i tanti, un classico come Il cielo su Roma di Colle der fomento, ma anche la più recente Rozzi di Paky), o ancora – semplicemente e narcisisticamente – celebrativo di se stessi o della propria storia (ad esempio Treni di Baby Gang, ma anche qui gli esempi si sprecano). E ancora si può narrare delle proprie abitudini quotidiane (il fare musica, il fumare in compagnia o il fare uso di sostanze più pesanti), delle disavventure con le forze dell’ordine o di una vera e propria vita vissuta all’insegna della criminalità, della propria rete di relazioni vissute come fraterne o al contrario come nemiche (da cui il dissing, tenzone poetica che si caratterizza per insulti e improperi, niente affatto una novità dato che nel medioevo era diffusissima). È ovvio che si tratta di una arbitraria mia dissezione e che i vari filoni non sono affatto separati: uno stesso artista può a volte dare libero sfogo all’insensato, a volte più narcisisticamente altre più nichilisticamente, a volte descrivere con brutalità scene di violenza, a volte passare dal mero edonismo alla critica sociale, persino all’interno della stessa canzone. Mi sembra emblematica questa canzone di Metal Carter di tanti anni fa:
Stupro mia nonna dentro un bosco
Le metto nella vagina un poster di Vasco
In questo posto perdo il controllo
Sono Max Pezzali con un teschio sul collo
Sembrerebbe che qui l’artista voglia solo scandalizzare il buon costume dicendo cose senza senso; ma più avanti viene la critica sociale con una nota piuttosto lirica:
Cristo in croce ad ogni angolo di strada
La gente si è abituata e non ci bada, vivo la mia vita
Anche se se n’è andata a puttane per strada con un prete idolatra
E persino la critica contro la cultura ufficiale, vista come superficiale e vuota:
Adesso vorrei andare a un congresso
Per lanciare tutti gli insulti che ho represso
Ho scommesso che avrei pestato Paola e Chiara
Infine di nuovo la tragica nota lirica che trasmette un disagio di carattere morale:
Sto in gara contro me stesso
E contro la parte di me che vuole vendetta ad ogni costo
Come si vede, è difficile separare nettamente il turpiloquio insensato dalla critica sociale e dal discorso esistenziale: lo si può solo a costo di sezionare il testo con il bisturi. E questo perché il non-senso è già in qualche modo una critica: si dicono assurdità per estraniarsi dalla realtà, una realtà in cui evidentemente non ci si sente comodi. Riaffiora alla memoria una canzone di Rino Gaetano, Ti ti ti ti, dal ritornello tanto insensato quanto ribellistico è il contenuto delle strofe. Un non-senso è perciò un rifiuto, che nel caso di Metal Carter però è anche un attacco che si serve di immagini disturbanti. Tuttavia, non sono una novità neanche queste ultime, che hanno peraltro il potenziale di trasformarsi in una critica raffinata se si pensa a come nacque il punk nel Settantasette e a come si è trasformato con i Clash di Lost in the supermarket o di Career opportunities, o di altri capolavori.
Anche la celebrazione del divertimento fine a se stesso non è cosa nuova. La poesia e la musica esaltanti i piaceri dei sensi (il bere, il mangiare, il sesso ecc.) sono sempre esistite. Si prenda ad esempio uno dei più famosi madrigali rinascimentali:
Quand je bois du vin clairet
Ami tout tourne, tourne, tourne, tourne
[…]
Chantons et buvons, à ce flacon faisons la guerre
Chantons et buvons, les amis, buvons donc!
Oppure di quest’altro, tutto una metafora sessuale:
Tutto lo dì mi dici: <<canta, canta!>>.
Non vedi ca non posso refiatare?
Ah, che tanto cantare!
Vorrìa che mi dicessi: <<sona, sona!>>.
Non le campane a nona, ma sso cimbalo tuo!
Perché si poeta su questi temi così bassi? Perché anche di questo è fatto l’uomo e ha bisogno di essere espresso, possibilmente in modi che non danneggino altri uomini o se stessi. È anche vero, tuttavia, che mentre nel medioevo gli stili erano codificati in base al contenuto, che quindi prendeva posto in una precisa scala gerarchica dove in alto stavano le cose sacre e in basso quelle profane, anche il solo ammettere che esistano cose più importanti di altre oggi verrebbe percepito come una indebita intromissione nella libertà dell’individuo. Tenuto conto che così stanno le cose, si confrontino i due testi precedenti con questo brano di pochi anni fa della rapper (o trapper? Il discrimine non è così ovvio) italo-marocchina Chadia Rodríguez:
Fumo così non ci penso a come andrà domani
Così mi dimentico che mi hai detto che mi ami
Bagnamo con la saliva tutte le cartine
Scopami forte fino alla fine, fumami addosso, stimolami le endorfine
Dentro una vasca con le bollicine, è una tomba da regine
L’ultimo orgasmo, sarà quasi come morire
Si può obiettare che in quest’ultimo caso lo stile è più esplicito, e sarebbe in parte vero, almeno se confrontato con il secondo brano dove invece la metafora e l’allusione giocano un ruolo fondamentale. Più pertinente sarebbe osservare che qui il referente è qualcosa di molto più oscuro, dove è in gioco un divertimento pericoloso, violento, che odora quasi di morte, che in effetti viene nominata esplicitamente. Si tratta di un’esaltazione del nichilismo? Si tratta della descrizione di una realtà che è parte della società in cui viviamo, dove i divertimenti sono più pericolosi perché lo sono i prodotti dell’uomo: è vero che l’hashish è sempre esistito (ce lo narra già Marco Polo nella leggenda del Veglio), ma altre droghe sintetiche sono un’invenzione più recente e molto più nociva. Le armi, di cui anche spesso si parla e che si mostrano nei video, (cfr., tra i tanti, Baby Gang) sono sicuramente oggi più efficienti e letali. Persino l’immaginario del piacere qui evocato, la vasca con le bollicine, è più sofisticato. Lo sviluppo tecnico ha infatti messo a disposizione a basso costo una grande disponibilità di oggetti e macchine che possono essere usati sia per il nostro bene sia contro l’uomo. Ci troviamo allora a vivere in un mondo dove la morte è a portata di mano, ma dove paradossalmente – come profetava David Turoldo – è rimossa e non viene nominata. Continuamente vediamo le immagini della guerra, ma sono appunto immagini che rimandano a una realtà apparentemente estranea. Si può allora dire che la canzone di Chadia Rodríguez sia una semplice, neutrale descrizione? O è invece una esaltazione, addirittura un ideale? Qualunque espressione artistica non solo descrive la realtà ma la trasfigura: una prostituta nelle mani di Caravaggio diventa una Madonna, eppure continua a rimanere una prostituta, mentre la Vergine assume le fattezze di una prostituta pur rimanendo una Vergine. Si tratta di una specie di miracolo che l’uomo può operare. Proprio perché la bruttezza così rappresentata diventa bella, è difficile che colui che guarda, o ascolta, soprattutto identificandosi, non la prenda anche un po’ come un modello. L’artista, incluso il trapper, non è responsabile della realtà che descrive, ma in qualche modo ne può diventare complice, come tutti lo siamo un po’ della realtà in cui viviamo, soprattutto se ciò che descrive è più immaginato che davvero frutto dell’esperienza. Ma qui il ruolo del fruitore dell’opera diventa centrale. Tutti ricorderanno il film francese La haine (L’odio) di Methieu Kassovitz, ambientato nella periferia parigina, ma quanti lo avranno preso come una specie di inno alla rivolta violenta o addirittura al crimine? Eppure, nonostante la forte empatia che si prova per i tre protagonisti, indubbiamente tre vittime del sistema, il finale è tragico e tutta la vicenda ispirerebbe tutt’altro che emulazione nei loro confronti. Il sistema valoriale del fruitore – dal momento che la società non ne offre uno preconfezionato – diventa allora fondamentale nella definizione della chiave di lettura. In ogni caso anche l’artista può fare molto a seconda del grado di complicità con il mondo che descrive. È interessante, a questo proposito la vicenda di Arturo Bruni, ex membro della Dark Polo Gang – il gruppo in cui militava anche il nostro Tony Effe – il quale, finito in un vortice di alcol e droghe che lo stava portando sempre più in basso (“all’inferno” dice lui), decide di uscire dal gruppo e cambiare vita, influenzando così anche la sua poetica. Dice Bruni, in arte Side Baby: <<il successo mi ha fatto sentire una responsabilità, il rischio di mitizzare le droghe e in qualche modo condizionare le persone. Se nei testi si inneggia alla droga, la gente può pensare che sia una cosa da provare>>.
È su questa ambiguità tra realtà e rappresentazione che gioca anche Tony Effe che, ricordiamolo, insieme agli altri membri del gruppo con cui la sua carriera partì, la Dark Polo Gang, viene da un rione del centro di Roma: non quindi da una borgata o da una periferia degradata, come ad esempio nei casi di Ghali, Baby Gang, Tedua, Massimo Pericolo ecc. Senza voler trarre da questo facili quanto errate conclusioni sociologiche (Francesco d’Assisi era un ricco mercante e Stalin un contadino) non si può non notare quanto i suoi contenuti siano caratterizzati da sesso, droga e soldi. Ma si tratta, ahimè, di una caratteristica che accomuna un po’ tutta la trap, e a gradi diversi anche il rap in generale, degli ultimi dieci anni. Non bisogna certamente generalizzare, dato che molti rapper continuano ancora a fare (magari insieme con l’esaltazione del successo, del piacere e della ricchezza) critica sociale, soprattutto mossi dal loro vissuto fatto spesso di privazioni, famiglie sfasciate, carcere, vite da senza dimora ecc. In alcuni, come in Ghali, si toccano questioni socialmente impegnative, fuori e dentro le canzoni (l’appello “stop al genocidio” dal palco di Sanremo, di cui il cantante ha poi fatto le spese) mentre in altri si cerca persino di confrontarsi con riferimenti di cultura alta (ad esempio l’album La Divina Commedia di Tedua, che per quanto improvvidamente pretenzioso già nel titolo è almeno apprezzabile per lo slancio). Ma Tony Effe nasce e cresce come un trapper duro e puro, alla Guè Pequeño: i temi sociali sono lontanissimi dal suo orizzonte; i suoi maggiori interessi sono il calcio e la moda e parla perlopiù solo di “sesso e samba” (come il titolo del suo tormentone estivo). Racconta senza remore di avere sempre avuto il chiodo fisso dei soldi e di aver iniziato a fare musica per questo perché, seppure mediamente benestante, a contatto con lo stile di vita della Roma alto-borghese ne soffriva il fascino e voleva raggiungerlo. Tuttavia, in una sua intervista abbastanza recente racconta di essersi scontrato con i problemi dell’ansia e della depressione, rivela alcune storie di sofferenza personale e manifesta una timida evoluzione dalla classica trap che si può sintetizzare con questa frase: <<io il successo nella vita lo vedo come avere degli amici veri a fianco che stanno bene, una famiglia, la salute, i soldi, tutto il resto viene dopo…>>; qui i soldi rimangono ai primi posti, ma almeno vengono dopo le relazioni. Si consideri ora un brano della canzone British risalente ai tempi della Dark Polo Gang:
Ho troppe bitch intorno (via, via)
Non so più quale scegliere (boh)
[…]
Ho una mazza ma non sto giocando a cricket (bitch)
Mi dice, “Tony sei pazzesco”
Le mie collane sono un patrimonio UNESCO (bling bling)
Sì sono la regina Elisabetta
Pieno di gioielli, sembra che ho perso la testa
Le dico, “Baby quanto cazzo sei figa”
Mi dice, “Prima me, dopo la mia amica”
Oppure questo brano, preso da Magazine:
La mia faccia sopra un magazine (un magazine)
Adesso la tua troia mi conosce bene
[…]
Troppe collane non riesce a spogliarmi (cosa?)
Vestito rosa penso di essere una Barbie
[…]
La tua tipa tra i miei seguaci (ops!)
Mi vede e dopo apre le gambe
La scopo e poi si mette a piangere
Ancora, questo brano più recente, fatto insieme a Emma, unisce al tema del sesso (forse fraudolento?) quello delle droghe:
Primo bacio, primo trip
Caramelle nel suo drink
[…]
Festival techno non facevo rap
Prendevo paste nel club
Come è evidente, si tratta del classico trinomio “sesso droga e rock ‘n’ roll”, con l’aggiunta del lusso sfrenato e una sfumatura in più: la donna diventa un mero oggetto di piacere. Ma questo non è uno scandalo nell’ambiente (anche di genere femminile) come testimonia il duetto fatto con Emma, o la solidarietà di Mara Sattei, o il pezzo di Chadia di cui sopra e tanti altri esempi che potremmo elencare. Curiosamente però nessuno dei critici ha attaccato l’ostentazione del lusso, mentre sono stati sottoposti ai raggi x su tutti i giornali i versi sessisti. Presente anche, in misura minore, la critica all’ostentazione delle droghe, ma nessuno che si scandalizzi per i gioielli. Questo ci dice che esiste un conflitto valoriale nella società, per cui la ricchezza è ormai perlopiù considerata un valore, o almeno non un disvalore; l’edonismo fine a se stesso, anche quando distruttivo, è perlopiù lasciato alla libera autodeterminazione; l’aggressività e la sicurezza di sé sono tendenzialmente un valore (si ricordi del clamore suscitato dallo storico Alessandro Barbero, quando disse che le donne sono meno aggressive, spavalde e sicure di sé degli uomini); infine, la reificazione della donna è vista ancora come cosa negativa, ma alcuni in fondo non la disdegnano almeno se limitata al sesso (incluse alcune donne, come abbiamo visto). Da dove viene quest’ultimo immaginario in particolare? Principalmente dalla pornografia, un’industria che ha raggiunto livelli di fatturato altissimi e che trova la sua domanda ormai in quasi tutte le fasce d’età; le canzoni trap attingono ampiamente all’immaginario pornografico. Ma la pornografia a sua volta è appunto frutto di una domanda – come lo sono tutta la cinematografia e la musica che veicolano immaginari assimilabili, come lo è l’industria della droga, quella del cibo velenoso a basso costo, quella del gioco d’azzardo, dei videogiochi violenti, delle armi – che chiede di dare libero sfogo agli istinti distruttivi e auto-distruttivi dell’uomo, tenuto conto – come abbiamo detto in apertura – che solo accennare a una ordinazione gerarchica delle facoltà umane è visto come una indebita limitazione della libertà individuale, anche (e forse soprattutto) da chi critica e censura Tony Effe. Torniamo quindi al problema iniziale: è l’arte, o meglio è l’industria, che stimola le pulsioni distruttive umane, o semplicemente essa ne dà una rappresentazione che non troverebbe altrimenti uno sbocco “innocuo”? Si tratta di pulsioni connaturate all’essere umano oppure frutto di un periodo storico particolare? Entrambe le domande impongono risposte complesse che non possono ridursi a un sì o a un no. Tuttavia, va rilevata la contraddizione principale: da una parte si propone una società dove l’orizzonte di senso e i valori che orientano l’individuo non sono mai dati, dove il giudizio su ogni ambito della vita è sempre anzi in balia dell’autodeterminazione; questa autodeterminazione si esprime in maniera a volte nichilistica, incontrando un’offerta industriale organizzata che amplifica e concreta le pulsioni negative, ma che per principio non può mai essere limitata; infine, allo stesso tempo si pretende che la società sia pacificata, senza violenze né fisiche né verbali, senza eccessi e improntata alla concordia.
”a fianco del mio banco un hip-hoppettaro,
sniffa polvere da sparo,
dice che un uomo è capace per quanti buchi ha nel torace
ha dischi di artisti muscolosi,
malavitosi con pose da bellicosi,
mentre io sono fiacco e ho la mononucleaosi”
(Caparezza, la mia parte intollerante).
E’ proprio vero, ognuno ha i suoi riferimenti culturali.
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