(Dario Raffone – lafionda.org) – In un articolo apparso recentemente sul Corriere della Sera , il prof. Ernesto Galli della Loggia muove un duro attacco al diritto internazionale umanitario, asserendo che la guerra non può che essere condotta nel modo  che vediamo. E cioè con il mettere in conto l’annientamento di migliaia e migliaia di civili, molti dei quali bambini.

Danni collaterali, si potrebbe dire. Il Nostro, che dichiara di nulla sapere di diritto internazionale ma solo di storia, afferma anche che la guerra è stata connotata, almeno dal 1914 in avanti, da questi stermini, citando, fra gli altri,  Hiroshima, Nagasaki . E afferma inoltre che, a dispetto delle opinioni pubbliche benpensanti, la storia cammina per suo conto indifferente a diritti, organizzazioni per la pace e tribunali.

Messe così le cose, è indubbio che queste affermazioni fotografano una realtà purtroppo effettivamente esistente.

La lettura di questo articolo, però, mi ha fatto tornare in mente un ricordo lontano dei miei studi universitari, svogliati e poco convinti, ad eccezione di un corso, quello di diritto internazionale che vedeva in cattedra, per il primo anno a Napoli, il prof. Benedetto Conforti. Era un’epoca di grande confusione, quella dei primi anni ‘70 del secolo scorso, e pochi frequentavano i corsi  a Giurisprudenza a dispetto dell’enorme numero di iscritti. Facevo parte di un gruppetto di una decina di studenti che seguivano Diritto Internazionale e Conforti ci prese a benvolere per la nostra assiduità.  Aveva un eloquio garbato, quasi in punta di piedi e ti faceva sentire partecipe di quel mondo che raccontava con distacco solo apparente, ma, in realtà, pieno della passione del vero studioso. Si creò, fra tutti noi, una certa confidenza per cui, da presuntuoso ignorante qual ero, un giorno ebbi l’ardire di chiedere al Professore a cosa mai servisse il diritto internazionale, a cosa servisse un ordinamento in cui il principio di effettività non sembrava svolgere un ruolo efficace, in cui la sanzione era quasi sempre assente e dove, al di là dei trattati fra i vari Stati, molto era affidato alla consuetudine. Consuetudine risalente al glorioso tempo dello ius pubblicum europaeum sul cui tramonto già Schmitt aveva redatto pagine famose.

Il Prof. Conforti, con quel tratto di modestia che lo connotava, non mi redarguì per la mia insolenza , non si indispose e disse semplicemente: “il diritto internazionale serve principalmente a far sì che gli Stati si vergognino delle loro malefatte, a far sì che le opinioni pubbliche, laddove assono esprimersi, influenzino la civiltà di un Paese e il corso della sua storia”.

Il prof. Galli della Loggià non condividerà queste parole. Ma, a mio avviso, questa mancata condivisione in nome della dura realtà comporta un rischio: quello  di accettare e giustificare il presente. Forse la storia non si fa con le idee e con le passioni.   Ma, senza di queste, la conseguenza è una sola: quella di consegnarsi a decisioni e sistemi che generano le mostruosità che ogni giorno leggiamo e vediamo.

Forse alleggeriti da ogni responsabilità. Ma ad ognuno la sua scelta.