A cinque anni dalle prime perquisizioni, il gup di Firenze ha stabilito il non luogo a procedere per tutti gli imputati, tra cui l’ex premier Matteo Renzi

Renzi prosciolto dalle accuse del caso Open. Con lui anche Boschi e Lotti

(di Luca Serranò – repubblica.it) – Non luogo a procedere per tutti gli imputati, tra cui l’ex premier Matteo Renzi e altre e sponenti di peso del Giglio magico come Luca Lotti, Maria Elena Boschi, Marco Carrai e l’avvocato Alberto Bianchi.

Si chiude così l’udienza preliminare scaturita dall’inchiesta sulla fondazione Open, la macchina da eventi che organizzava la Leopolda e che secondo la procura di Firenze raccoglieva finanziamenti (per la corrente renziana del Pd) aggirando le norme di trasparenza fissate per i partiti. Si chiude con la “vittoria” dell’ex premier, che nel corso degli anni aveva contestato in modo clamoroso (con tanto di denunce, poi archiviate, presentate a Genova contro i pm fiorentini) il lavoro degli inquirenti.

Le accuse ruotavano proprio attorno alla presunta natura di articolazione di partito di Open. Tutto era partito dalla plusvalenza da quasi un milione di euro che l’imprenditore Patrizio Donnini aveva ricavato con la cessione a una società del gruppo Toto di cinque società inattive ma autorizzate alla produzione di energia eolica. Scavando nei legami tra il gruppo e il Pd renziano, gli investigatori erano approdati a un movimento di denaro considerato sospetto, 700 mila euro che versati da Toto all’avvocato Alberto Bianchi come consulenza per un contenzioso da 75 milioni con Autostrade: parte dei soldi, sempre secondo procura e guardia di finanza, erano stati “dirottati” non solo alla Fondazione ma anche al comitato per la riforma costituzionale ( poi bocciata dal voto popolare).

Una circostanza che aveva portato a una raffica di perquisizioni, anche a carico di finanziatori – non indagati- di Open, e al rinvenimento dell’archivio della Fondazione: da qui l’accusa dei pm, secondo cui tra il 2012 e il 2018 la Fondazione aveva ricevuto ” in violazione della normativa” 7,2 milioni di euro, spesi almeno in parte per sostenere direttamente l’attività politica della corrente renziana.

Nel filone del finanziamento illecito ai partiti erano coinvolti Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Alberto Bianchi, Luca Lotti e l’imprenditore Marco Carrai. L’altro versante riguardava proprio la corruzione, contestata a Bianchi, Lotti, Toto e Donnini. Lotti, segretario del Comitato interministeriale per la programmazione economica dal 2014 al 2018, era accusato di essersi “ripetutamente adoperato, nel periodo temporale 2014-2017, in relazione a disposizioni normative di interesse per la British american tobacco Italia spa”, finanziatrice di Open per circa 253mila euro.

Sempre Lotti, insieme a a Bianchi e agli imprenditori Patrizio Donnini e Alfonso Toto, era stato chiamato in causa per essersi speso per l’approvazione in Parlamento di norme favorevoli al gruppo Toto: l’accusa collegava la circostanza proprio alla maxi consulenza nei confronti di Bianchi e in parte da questo destinata a Open.

Nel corso degli anni la vicenda è stata al centro di un’aspra battaglia giudiziaria, con protagonista in particolare lo stesso Renzi e anche Marco Carrai. Al centro dello scontro, nel primo caso, l’acquisizione di chat e mail di Renzi senatore, giudicata poi illegittima dalla Corte Costituzionale perché in contrasto con il principio di inviolabilità della corrispondenza dei parlamentari. Riguardo Carrai, il 19 febbraio del 2022 la Cassazione aveva annullato – per la terza volta e senza rinvio- l’ordinanza con cui il tribunale del Riesame aveva confermato i sequestri all’imprenditore, ritenendo non provata la natura di articolazione di partito di Open. Una decisione che ha fissato un precedente, con tutta probabilità tenuto in considerazione dal gup nella decisione di oggi.