(Giuseppe Di Maio) – Quando Grillo riempiva i teatri e le piazze parlando di inefficienze del sistema, di abuso della democrazia, di malcostume e malaffare, non tutta l’Italia traduceva le sue parole allo stesso modo. Il centro nord interpretò le sue narrazioni come una rivoluzione liberale, un appello all’autonomia e all’efficienza della pubblica amministrazione, alla sobrietà dei rappresentanti democratici, a un’indipendenza da alcune figure politiche pluri-censurate e legate alla malavita spesso meridionale. Il centro sud capì di aver bisogno di una società che appianasse le differenze, che fornisse garanzie di cittadinanza, che combattesse la disonestà, che moralizzasse la politica. L’uno e l’altro furono coinvolti in una rinnovata partecipazione democratica arrestando per poco tempo l’allontanamento dalle urne.

Passati lo “tsunami tour” e la vittoria elettorale del 2013, Grillo pensò di aver fatto il pieno del teatro, con un pubblico di elettori che egli continuò a considerare come una massa suggestionabile dal suo spettacolo e da cui ci si poteva guadagnare il prezzo del biglietto. L’elevato in auge e nel suo canotto navigava sulla folla, i suoi ragazzi, che intanto crescevano fino a diventare dei piccoli leader, cadevano dal palco afferrati dalle cento mani amiche e fiduciose. In questo periodo proprio la fede di migliaia di iscritti e di milioni di italiani in quei ragazzi e nel loro mentore, ci portò a fare delle scelte fuori registro. Prima fra tutte l’alleanza con l’antieuropeo Farage, che per noi fu come votare che Ruby era la nipote di Mubarak, e ultima la scoperta di un Draghi grillino e Vittorio Colao ecologista. E’ stato allora che la fiducia si è azzerata. La purezza del compito sporcata da alleanze sempre più incomprensibili allontanò molti iscritti dal Movimento e tanti elettori dal voto.

L’unica eredità del M5S nel crollo provocato dal suo disordinato fondatore, era l’ex Presidente del Consiglio Conte, chiamato dal Beppe ad arrestare l’emorragia di consenso e d’identità. I reazionari che abbandonavano il Movimento erano proprio i grillini della prima ora, quelli a cui non interessava la svolta egualitaria impressa dal nuovo venuto. I voti venivano in fin dei conti dalle regioni meridionali, come i parlamentari e la classe dirigente, dove i 5 stelle simboleggiarono una piccola insurrezione. Il sud ha seguito come un tempo la guasconata di un ligure, ma prima che arrivi del tutto l’amara restaurazione si sta organizzando in piena autonomia, con idee, interessi, strategie ed etica del tutto divergenti dal nord. E se ci toccherà rifare un partito, sappiamo già quale senso e collocazione dovremo dargli.