(Gioacchino Musumeci) – Comunque sia Beppe Grillo è stato un fenomeno. Oggi Grillo è terminato di sicuro, è qualcuno da cui emanciparsi senza sensi di colpa e consci dell’evidenza che ha fatto il suo tempo. Il Movimento deve correre verso il futuro senza di lui. L’ex garante non vuole accettarlo ma è inevitabile perché il responso del prossimo voto sarà ancora più netto.

La retorica non è invenzione di Grillo ma Grillo è inventore del registro linguistico populista più aggressivo. Non v’è alcun dubbio che Beppe Grillo sia intelligentissimo e abile calcolatore, pregi rovinati dall’arroganza che l’ha convinto della propria infallibilità.

Quale specialista della comunicazione Grillo ha manipolato con perizia magistrale cittadini e nemici politici: instillando nella platea l’idea che gli avversari del Movimento fossero riuniti una caldera di bastardi indistinti da cacciare in massa, ha provocato deliberatamente la reazione aggressiva e spesso scomposta di media ed establishment.

Il capostipite dell’aggressione verbale trucida è senza dubbio Grillo ma i suoi target inferociti e preoccupati per l’ondata di sconosciuti, tra cui opportunisti e incapaci, che lambiva certi palazzi, hanno prima sottostimato la portata del Movimento e poi, davanti all’evidenza del fenomeno, hanno reiteratamente dipinto i pentastellati come assembramento di semideficienti.

Sul Movimento se ne sono lette di ogni colore perché nel caos mediatico scatenato da Grillo in generale si è persa l’etichetta come vuole l’infimo livello della comunicazione italiana. In definitiva Grillo ha dato consapevolmente il là e i suoi orchestrali l’hanno imitato. Gli avversari hanno risposto chi con sofisticato disprezzo, chi con mistificazioni e bugie chi con gretti insulti.

Ma tutto ciò faceva gioco al consenso del Movimento perché i sostenitori potevano identificarsi nella vittima di bullismo politico e mediatico facilmente prevedibili. Ma che Grillo sia un provocatore irriducibile e abbia necessità di verticalizzare lo scontro è evidente dai fatti di oggi. In Beppe Grillo è vivissimo lo slogan “ Con me o contro di me” e tale atteggiamento è ancora palpabile negli argomenti di tanti sostenitori.

Grillo ha un merito particolare: ha scatenato il caos controllato e limitato ai confini del battibecco sociale e televisivo in cui sono precipitati giornalisti, politici, intellettuali e comunissimi cittadini coinvolti nell’insulto reciproco da cui pochi si sono salvati. Il caos controllato in cui Beppe Grillo si trovava perfettamente a suo agio era la leva che avrebbe rivoluzionato il Paese. Il dato paradossale è che un genio non abbia previsto la durata limitata dell’onda caotica, o rivoluzionaria contenuta nell’esordio del Movimento caciarone del 33%. Tutto è andato scemando nell’istante in cui Il Movimento è entrato nei palazzi del potere perché per un gioco del destino il presidente del consiglio dei governi grillini era un accademico ordinato e corretto che ha relegato il caos nella dimensione antipolitica degna del suo significato. Giuseppe Conte è l’anti caos, la variabile impazzita nell’indiscutibile e comodo disordine su cui troneggiava Beppe Grillo.

Il problema più grande di Beppe Grillo è lampante: ha circoscritto e limitato la propria “genialità” all’arco temporale di cui è rimasto prigioniero in una bolla nostalgica comprensibile ma praticamente inutile. Grillo non è stato capace di cambiare mentre tutto cambiava compresi elettori e iscritti al Movimento che l’hanno ripudiato col voto. E Grillo tristemente mette in dubbio il verdetto come fosse il Trump della situazione. Ma più che la versione ligure di Trump Grillo percorre una parabola discendente sconcertante in cui tra le mille opzioni che aveva per il Movimento, ha scelto di dissolverlo nonostante il Paese abbia necessità impellente di un Movimento nuovo, alfiere di battaglie che nessuno ha il coraggio di sostenere. Invece i nostalgici di ieri sono più interessati al nulla: o si ritorna al caos o il Movimento non deve esistere.