
(di Mattia Granata – glistatigenerali.com) – Il giorno dopo le elezioni, l’astensionismo è sempre quello degli “altri”, ogni dibattito si apre con l’enunciazione del problema ma lo accantona subito per discutere dei voti espressi. “Chi vota ha sempre ragione”, e tuttavia, l’astensionismo è diventato un fenomeno strutturale.
E così, come previsto, anche in Emilia Romagna e Umbria il tasso di votanti è in ulteriore calo, come in Liguria, dove il record del 54% di astenuti era stato attribuito ai recenti scandali per corruzione. Nondimeno, nelle ultime elezioni amministrative di Milano, la “vittoria straordinaria” del sindaco Sala fu conseguita con un pari livello di astensione, quella volta sottolineato dalla destra perdente, e un dato simile ha segnato le ultime elezioni europee, ma gli esempi sarebbero ormai molti.
Il giorno dopo le elezioni, l’astensionismo è sempre quello degli “altri”, ogni dibattito si apre con l’enunciazione del problema ma lo accantona subito per discutere dei voti espressi. “Chi vota ha sempre ragione”, e tuttavia, l’astensionismo è diventato un fenomeno strutturale anche di questo paese: non è più possibile un’analisi del voto senza un’analisi del non voto.
Per quanto ora si invochino indagini parlamentari, non mancano alcuni spunti di riflessione. Nel maggio del ’22 la Presidenza del Consiglio pubblicò il “libro bianco” Per la partecipazione dei cittadini. Più di recente, il Report L’astensionismo, elaborato da AreaStudi Legacoop e Ipsos, ha rilevato approfonditamente le opinioni della popolazione italiana sul tema. Ne è emersa la fotografia di un corpo elettorale stanco e sfibrato, e con una scarsa fiducia complessiva – leggi: aperta avversione – nelle istituzioni “elettive”.
Le motivazioni alla base del rifiuto alla partecipazione democratica sono chiare. Nelle elezioni recenti, chi ha scelto di astenersi si colloca prevalentemente nella fascia di età 31-50 del Nord Ovest, nel ceto popolare, con bassa scolarizzazione, e risiede in comuni tra i 30 e i 100mila abitanti. Lo ha fatto, principalmente, perché considera “sporca” tutta la politica (30%, ma con punte del 45% nel ceto popolare); perché, indipendentemente da chi vinca, non ritiene che il voto possa cambiare qualcosa per sé stesso (27%; ma 43% tra gli over 65), perché si sente “stufo e arrabbiato” (24%, ma 32% nel ceto popolare) e per protestare contro gli attuali partiti ed esponenti politici (19%; 34% nel Nord Est, 25% nel ceto medio e tra i laureati).
Questa diffusa avversione verso la politica, si accompagna a una scarsa fiducia nelle istituzioni, tutte sotto la soglia del 50%. Su questo sfondo, solo la figura del sindaco, indicata dal 43% degli intervistati, raccoglie minore sfiducia da parte dei cittadini, ma unicamente nei piccoli comuni fino a 5.000 abitanti, perché in quelli grandi si verifica la ben nota divaricazione tra centri e periferie.
All’ultimo posto scivolano i parlamentari italiani, che si guadagnano la fiducia di uno scarso 20% di cittadini, mentre oltre l’80% ritiene che chi viene eletto perda subito il contatto con la gente, e chi va al governo si disinteressi immediatamente delle reali esigenze dei cittadini. Analoga opinione caratterizza la percezione sui partiti politici, che l’81% considera troppo influenzati da persone con molti soldi, o che rappresentino una piccola parte del Paese piuttosto che il suo complesso (71%).
Le analisi sulla crisi della rappresentanza e delle istituzioni sono un classico, ma nelle analisi post voto, si prende sempre atto dell’ulteriore peggioramento, e poi si procede come se nulla fosse. Ormai, però, più che ragionare sugli spostamenti di flussi da un partito all’altro, occorre davvero partire dal dato più macroscopico: la percentuale dei votanti è sovente più bassa di quella dei non votanti. Questa situazione, ovviamente, denota un malfunzionamento del processo democratico che, per giunta, rende difficile, o impossibile, governare e amministrare il paese ai vari livelli, poiché come tanti Pirro, i “vincitori” si trovano a capo di una “minoranza” opposta ad una società passiva-aggressiva, o palesemente ostile.
Quanto alle soluzioni, il citato Libro bianco elencava una serie di provvedimenti che, sul piano tecnico, per lo meno permetterebbe di diminuire l’astensionismo involontario con una modernizzazione dei sistemi di voto. Sul piano sostanziale, è chiaro che occorrerebbe una sincera alleanza tra istituzioni, forze politiche e corpi intermedi. L’ostilità aperta per la politica, infatti, non corrisponde a un disinteresse per la partecipazione di un paese che, al contrario, mostra un associazionismo economico, sociale e civile estremamente vitale. Il primo passo, però, come sempre, imporrebbe di riconoscere una urgenza, e di agire di conseguenza smettendo di piangere lacrime di coccodrillo ad ogni elezione, per non accontentarsi delle proprie vittorie in una dimidiata democrazia di minoranza.
E che la colpa di tutto siano i media con il lavaggio dei cervelli ? Della serie “SON TUTTI UGUALI…invece non è vero, ma chi lo dice in pochi cioè i votanti!
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Ho una proposta per far emergere subito il problema a partire dai numeri: allo spoglio mantenere le percentuali non rispetto a chi ha votato ma solo rispetto agli aventi diritto che sono più del doppio. Ergo, se su 100 aventi diritto al voto ma solo 50 si recassero a votare, il Pd o Fi o Fdi (ad esempio) arrivassero a 10 voti avrebbero sulla lavagna dichiarato il 10% e non il 20%; La Lega, dico per dire, invece del 10 si conterebbe al 5 per cento degli aventi diritto al voto. Una bella cura dimagrante spiccherebbe su base 100 per tutti i partiti, tranne quello dell’astensionismo che sarebbe 5 volte più ampio del partito del 10%. Che ne dite?
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