
(Leonardo Mellace – lafionda.org) – Discutere degli effetti dell’autonomia regionale non è semplice, data la complessità del tema che riguarda aspetti giuridici, economici e politici. A fare da “bussola” ci prova “L’Italia differenziata. Autonomia regionale e divari territoriali” (Rubbettino, 2024) di Vittorio Daniele e Carmelo Petraglia, che offre un’analisi approfondita sull’argomento, a partire dalla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. Un libro agile e di facile lettura, che costituisce uno strumento di informazione anche per i non addetti ai lavori che intendano cimentarsi con la complessa tematica dei divari socioeconomici regionali, ma che permette anche di andare oltre, stimolando la riflessione su tante altre questioni concrete. L’Italia è un Paese “diviso”, questa la premessa di fondo da cui prende le mosse il testo, una premessa che in parte trae spunto da altri lavori di Vittorio Daniele sul tema e che evidenzia come esistano due Italie: quella del Nord, ricca e avanzata, economicamente simile alla Germania, e quella del Sud, in ritardo di sviluppo, più simile alla Grecia e alle regioni più arretrate dei paesi dell’Est europeo. Come viene sottolineato dagli autori, dare una spiegazione che metta tutti d’accordo sul perché ciò sia accaduto, cioè trovare una risposta che sia in grado di chiarire in modo esaustivo il ritardo di sviluppo delle regioni del Sud Italia, non è per nulla semplice, e ciò perché molteplici sono i fattori che hanno condotto a questi divari: scelte politiche, ma anche ragioni economiche, che hanno influenzato gli investimenti privati. Occorre però qui precisare che gli investimenti dipendono da alcune variabili, come la tassazione e il costo del lavoro, che rendono più o meno appetibile, in termini di convenienza economica, un dato Paese (o meglio mercato) rispetto a un altro. D’altronde, come sottolineano Daniele e Petraglia, la competizione per l’attrazione di investimenti è globale e le regioni meridionali non sembrano avere un particolare vantaggio competitivo. Le scelte politiche possono intervenire su alcuni fattori, come la dotazione di infrastrutture, ma non possono certo obbligare le imprese ad investire capitali sul proprio territorio. La politica è cioè quasi inerme dinanzi alla scelta di una impresa che decida di investire in Romania e non in Calabria.
Molto interessante, tra i tantissimi spunti di riflessione che il testo apre, specialmente alla luce del dibattito politico odierno, è la parte che i due autori dedicano alla legge Calderoli sull’autonomia differenziata, sulla quale si è sviluppata una molteplicità di studi e discussioni, che segnalano un interesse diffuso sul tema, solitamente prerogativa di giuristi e tecnici. Senza abbandonarsi a un approccio ideologico o a un astratto linguaggio politico, Daniele e Petraglia sostengono che la riforma rischia di accrescere le già elevate disuguaglianze regionali e, nello specifico, di favorire le regioni più ricche, dal momento che essa prevede che il sistema di finanziamento delle nuove funzioni devolute alle regioni deve essere basato sulle compartecipazioni al gettito dei tributi statali. Da ciò ne discende – sostengono – che le regioni più ricche del Paese sarebbero in grado di offrire maggiori servizi ai cittadini e anche migliori stipendi in settori come la sanità o l’istruzione, accrescendo la loro già forte vis attrattiva a scapito delle regioni più povere, che inevitabilmente sarebbero penalizzate. Si potrebbe però obiettare – come peraltro qualcuno ha fatto – che in verità questo sistema potrebbe ridurre i divari, determinando una competizione virtuosa fra le diverse aree del Paese, funzionale ad innalzare la qualità dei servizi in tutte le regioni, in particolar modo in quelle più povere. Nondimeno, come dimostra il caso della sanità, che forse più di tutti ha offerto nel tempo un importante banco di prova, il pericolo che si corre è che ciò non avvenga e che anzi si determini la tendenza opposta, che andrebbe a causare, in assenza di posti di lavoro e di adeguati investimenti produttivi, una massiccia migrazione dal Sud al Nord del Paese, e, dunque, uno spostamento di risorse e di giovani qualificati sempre maggiore verso le regioni più ricche, con ciò aggravando il problema delle disuguaglianze regionali, che la riforma ha l’ambizione di combattere. Il rischio che si corre con l’attuazione dell’autonomia differenziata – questa la conclusione a cui pervengono Daniele e Petraglia – è quello di dare un colpo di grazia al Paese intero, perché non è solo il Sud che potrebbe uscire drammaticamente danneggiato dalla riforma, ma anche il Nord, checché ne dicano i sostenitori dell’autonomia.
Il volume qui in commento merita, dunque, di essere letto, non solo perché offre un quadro chiaro su una questione tanto attuale quanto controversa, ma anche perché si concentra – toccando un nervo scoperto della riforma – sul determinante ruolo perequativo che lo Stato deve comunque avere per garantire uguaglianza e coesione e al fine di evitare che i divari regionali si allarghino ulteriormente. La sua lettura, a prescindere che se ne accolga l’impostazione di fondo, offrirà, pertanto, spunti di riflessione su una questione fondamentale attinente al futuro assetto istituzionale ed economico del Paese, con la quale dovremo, nostro malgrado, fare i conti. Sempre che la legge Calderoli non venga abrogata dal referendum.
Con l’autonomia regionale vuol dire che il Nord la smette di saccheggiare il Sud
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il nord magari è stato vicino alla Germania per pil ma certamente non per produttività, servizi offerti, infrastrutture ecc. Come stipendi siamo a livelli che un ingegnere con meno di 5 anni di esperienza prende 1200-1400 con il piccolo particolare che una stanza da 8 metri al nord la paghi tra i 450 e i 700 al mese..
sanità? A pagamento è valida e in taluni casi eccellente ma quella pubblica ha liste d’attesa chilometriche. A mia zia avrebbero passato un intervento agli occhi dopo 9 mesi ma si dà il caso che il medico sottolineasse come andare oltre ai 3 portava al rischio che divenisse cieca. Casi di malasanità restano numerosissimi pure qua e anche gli altri servizi non brillano.
A chi giova sta roba? A chi vuole separarci, a chi vuole che quello del nord odi il meridionale e quello del sud odi il polentone del nord e basta vedere anche l’altro commento per rendersene conto o movimento come i neo borbonici. Gente che ha interessi economici a tenerci separati e quindi inventa storie a cui tanti boccaloni ci cadono senza rendersi conto che l’Italia era sí divisa tra signorie, potentati, Regni e comuni ma non c’erano frontiere e si poteva girare e soprattutto gli ambienti culturali lo facevano. Se devo dare soldi a qualche emulo di B. Allora voglio andare davvero in Germania con i loro diritti e stipendi mica restare in parodie. Senza poi considerare che sarebbe ora di riconoscere l’unità tra li stati dell’ unione come unione/ confederazione vera e non stare uniti solo per la moneta.
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Cui prodest?
Al sistema di smantellamento dell’Italia della dx.
La destra che comanda nella maggioranza delle Regioni avrà il predominio sul bilancio dello stato.
Le regioni un grande macchinario mangiasoldi e fabbrica di poltrone è un impedimento alla democrazia locale.
Ritornare ai Comuni dove ogni cittadino si ritrova e tocca con mano l’operato del sindaco e del suo consiglio… le Regioni una sovrastruttura inefficace e onerosa per il cittadino.Una struttura a cui saranno delegati funzioni universali dello stato.
Povero stato!
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