Israele, Gaza e i due stati: svanisce la bugia

(Domenico Quirico – lastampa.it) – Ricapitoliamo. In due parole. Dopo la vittoria di Trump nel Vicino Oriente quello che stiamo diventando sarà identico a quello che stiamo cessando di essere. Ovvero la guerra continuerà. Non potrebbe essere diversamente: Israele fa dell’eccezione una regola perché non si riconosce regole. Anzi: il governo di Netanyahu fino all’insediamento del nuovo presidente ha da mettere a frutto bellicamente un perfetto spazio vuoto: settantacinque giorni per portare a termine quello che da un anno, dopo l’agguato feroce di Hamas del 7 ottobre, sta realizzando con ogni mezzo: la «pulizia» di Gaza, la riduzione ai minimi termini della forza militare di Hezbollah in Libano. Tra e varie ed eventuali spuntano nuovi passi nella creazione di un nuovo ipotetico vicino oriente sotto tutela, in combutta con regimi arabi che sono disposti a barattare la quasi secolare «seccatura» palestinese con vantaggi economici e politici. Si aggiorna drasticamente, in stile israeliano, il piano intitolato all’innocente padre Abramo che appartiene al sorpassato primo Trump: regimi fragili e loschi, Arabia saudita, Egitto, «petremiri» da operetta ma gonfi di dollari, che si immagina di colonizzare, «modernizzare» dice eufemismo sempre più politicamente corretto.

A gennaio, quando la nuova Amministrazione repubblicana entrerà in azione Netanyahu, potrà convincere il suo «caro alleato» alla Casa Bianca a procedere alla parte finale e fondamentale del progetto, procedere insieme alla guerra all’Iran degli ayatollah, insuperata ossessione che vuole un collasso dell’unico nemico che i governi israeliani considerano veramente pericoloso.

Quello che scomparirà in questo buco nero è la decennale ipocrisia di una futura convivenza in Palestina basata sulla sgangherata e impossibile formula «due popoli due Stati». Sarà lo stesso Trump a scrivere con i suoi modi spicci e ineducati la parola fine a questa ingombrante bugia. I palestinesi nella pace di Abramo sub specie Trump-Netanyahu non hanno posto se non come comparse obbligatoriamente obbedienti e silenziose.

Su questa china spalancata dalle elezioni americane spariscono i finti rabbuffi con cui l’amministrazione democratica ha scandito la inesorabile guerra totale a Gaza e in Libano, in mezzo a città distrutte, poveracci che fanno la coda con ciotole e bidoni per avere acqua e cibo e vagano con i telefonini in mano in cerca di zone proclamate dai bombardieri beffardamente sicure. Addio al pendolare scenografico ma astutamente senza costrutto del già dimenticato Blinken (far guadagnare tempo alla vendetta israeliana è stato in realtà il risultato raggiunto). Stop agli scandalosi summit di riverite spie per farneticare di fantomatiche tregue.

Trump irrompe con le sue idee rozze e nebulose in un mondo radicalmente diverso da quello che aveva lasciato. No, l’estinzione della guerra fredda, la guerra al terrorismo non hanno introdotto la settimana delle sette domeniche. Per un nemico perduto altre dieci credenze omicide ritrovate. La pax americana non inaugura più il migliore dei mondi con le fusioni irreversibili, il trionfo della economia di mercato e l’avvenire irenico del genere umano. Semmai la debolezza americana si è accentuata per le sconfitte in Afghanistan, in Africa e il prossimo crollo ucraino. La golosità di potenza e la determinazione del branco numeroso dei suoi nemici sono aumentate in modo proporzionale.

Quello che appare con terribile evidenza anche nel Vicino Oriente è il rovesciamento della prospettiva, oggi ancor più di ieri è soltanto la forza che giudica il mondo. Molti attori condividono la sicurezza di credere che tutto è permesso e la decisione di permettersi tutto. Le guerre vanno e vengono, i guerrieri crescono e si moltiplicano.

Trump non è uno che fa gioco di squadra nelle faccende che gli interessano: chi mi ama mi segua e se nessuno mi ama… L’Europa già irrilevante nella tragedia di Gaza, ansiosa, vedrete, di strappare un sorriso di benevolenza al nuovo padrone, rinuncerà senza troppi rimpianti ai pochi irrilevanti schiamazzi con cui ha fatto finta di interessarsi allo scandalo di Gaza. I dispositivi della presunta possibile convivenza verranno smontati come una brutta scenografia che non piace più. Dura lezione di realismo. In fondo vera fine dell’ipocrisia. La ipocrisia messa a nudo dagli estremisti, anche. Delitto perfetto.

Nel Vicino Oriente si sperimenteranno in modo esemplare le regole ferree del nuovo scenario internazionale innescato purtroppo dal brutale gesto di Putin nel 2022: doversi muovere Grandi, medi e piccoli in un mondo ostile in cui la prima regola è quella della sopravvivenza. In fondo assomiglia molto all’idea di Trump, una sorta di zona senza legge in cui l’America deve aprirsi la strada tra il sovra-diritto dei furiosi abbandonati alla propria hybris di potenza come la Russia e la Cina e il sotto-diritto dei deboli e degli asserviti. Senza perder troppo tempo in vagabondaggi ideali Trump, che qualcuno, a torto, definisce isolazionista, applicherà con maggiore spregiudicatezza e senza bisogno di consolatorie giustificazioni l’unica regola della politica estera americana dai tempi della dottrina di Monroe: il giusto corrisponde ai nostri interessi.

E in questa parte dell’Oriente l’unico interesse certo per tutti i governi di Washington è più che mai l’intangibilità dell’alleanza con Israele, a qualunque costo.