La serie Disney che il sindaco vuol vietare – Antonio Iazzi: “Io devo tutelare la comunità di Avetrana e l’immagine della mia città”

(Di Selvaggia Lucarelli – ilfattoquotidiano.it) – La discussa locandina di Avetrana, la serie Disney sull’omicidio di Sarah Scazzi, non era piaciuta neanche a me. Sembrava quella di Shrek, o comunque di un qualunque film di animazione con i protagonisti che hanno sembianze fumettistiche. Il titolo, invece, mi è parso normalissimo. Da sempre la geografia dei casi di cronaca più efferati gioca un ruolo fondamentale nella narrazione mediatica, tanto che si parla di strage di Erba, delitto di Cogne, misteri di Alleghe, delitto di Garlasco, mostro di Milwaukee e così via.
Stefano Nazzi, autore del podcast Indagini, titola addirittura gli episodi col nome delle città in cui avvengono i delitti. Nessun sindaco ha mai pensato di querelare i giornalisti che trattavano questi casi localizzandoli, ma il primo cittadino di “Avetrana”, Antonio Iazzi, ha deciso di intraprendere una battaglia legale contro il colosso Disney per difendere l’onore della sua comunità. Vuole visionare prima dell’uscita sulla piattaforma la serie per valutare se i suoi concittadini vengono dipinti come omertosi e ignoranti, “dediti a crimini di questa portata”. In pratica, oltre a chiedere una surreale censura preventiva, il sindaco è preoccupato che regista e sceneggiatori abbiano immaginato Avetrana come una specie di città di zombie in cui tutti gli avetranesi – creature spaventose ricoperte di peli e pustole maleodoranti – ammazzano giovani adolescenti nei garage.
Lo stesso sindaco che non ha avuto nulla da ridire sull’agghiacciante servizio de Le iene, in cui l’inviato Alessandro Sortino ha pensato bene di mettere in scena una specie di Grande fratello dell’orrore: trascorre due giorni ad Avetrana, a casa di Michele Misseri, facendo la ricotta con lui, dormendo nel suo salotto, guardando Piazzapulita insieme al contadino. Poi, tra una spaghettata e un brindisi col vino salentino, si fa portare in campagna, a visitare i luoghi dove l’uomo ha spogliato il cadavere di Sarah, dove lo ha nascosto, e intanto indugia su particolari raccapriccianti, dagli istinti sessuali che la ragazzina gli avrebbe provocato alla posizione del corpo di Sarah nel pozzo. “Sei l’assassino di Sarah? Guarda che tu mi devi convincere, passo due giorni con te!”, dice Sortino a Misseri con un tono dolcemente paternalistico, come se non stesse parlando con un uomo che ha buttato il corpo della nipote in un pozzo, lasciandolo lì a imputridire per 42 giorni, ma con una simpatica canaglia.
Il sindaco di Avetrana, questo lo trova normale. Se si banchetta sul corpo di Sarah va bene, ma guai se si sposta l’attenzione “più sul territorio che sul fatto di cronaca”, ha dichiarato. Per farlo contento, anziché Avetrana, Disney intitolerà la serie “Quel posto tra Manduria e Porto Cesareo”, chissà.
A ogni modo, mi sembra che questa vicenda offra lo spunto per riflettere sull’ossessione per la cronaca nera che sta prendendo pieghe deliranti. La maggior parte delle piattaforme e delle case di produzione ormai investe solo sul crime. Tutti chiedono storie di delitti, serial killer, stragi familiari. Esiste un inquietante feticismo del morto ammazzato, per cui c’è una specie di tacita gara tra chi si fionda sul fatto di cronaca più sanguinoso per primo. Non è un caso che il produttore Valsecchi, di recente, abbia accusato il giornalista Pablo Trincia di avergli scippato il caso Rigopiano, come se anche sui morti ci fosse il copyright. Non è un caso neppure che il già citato Stefano Nazzi, dopo decenni di onorata carriera da giornalista, grazie al podcast sui delitti più noti ora sia diventato una specie di star che riempie i teatri e si trova davanti file chilometriche al firmacopie dei suoi libri. Non è un caso che la youtuber più nota i questo momento sia Elisa True Crime, il cui podcast sui casi di cronaca nera nel mondo è il più ascoltato del 2023. Non è casuale che trasmissioni come le Iene abbiano intrapreso il filone del revisionismo giudiziario, cavalcando i grandi casi di cronaca nera quali Yara, David Rossi, Mario Biondo e Olindo Bazzi. Il tutto senza mai ottenere nuove verità, ma solo share, centinaia di servizi, denaro pubblico sprecato e titoli sui giornali.
Succede inevitabilmente che anche nei programmi di crime si assista a sconcertanti derive, come quando a Quarto grado l’inviata si è messa a mangiare lasagne a casa di Antonio Logli, poi condannato a 20 anni per aver ucciso sua moglie Roberta Ragusa. E in fondo, mai avremmo immaginato che un giorno il sindaco di un paese di 6.000 abitanti nel Salento, al di là della pretestuosità dell’iniziativa legale, avrebbe dichiarato guerra a Disney, passato dal produrre la storia di Bambi a quella dell’omicidio Sarah Scazzi senza che nessuno abbia trovato la parabola quantomeno tragicomica. O forse inevitabile in questa gara a chi diseppellisce il morto per primo, tanto che mi domando da cosa potrà attingere, nei prossimi cinque anni, il filone crime, dal momento che i grandi casi di nera non ancora cannibalizzati si stanno esaurendo. E che i serial killer, grazie ai progressi nel campo delle indagini, si sono praticamente estinti.
Probabilmente – e questa per gli appassionati di nera è una buona notizia – avremo un sacco di nuovi Wallace Souza, il giornalista brasiliano che commissionava omicidi per essere il primo ad arrivare sul luogo del delitto.
I migliori, e non pruriginosi, true crime sono proposti dalla piattaforma di Netflix
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