La kermesse simbolo del Carroccio segna una oggettiva presa di distanza dal governo Meloni. La “santa alleanza” degli aspiranti rivoluzionari si colloca su posizioni decisamente filorusse

 A Pontida anche una bandiera russa col simbolo dell’aquila bicipite

(Flavia Perina – lastampa.it) – La Pontida 2024 segna una oggettiva presa di distanza di Matteo Salvini dal governo e dalle sue stesse responsabilità di vice-premier. Il Capitano poteva scegliere tra molte formule per animare il palco: l’esibizione dei successi dei ministri leghisti, la valorizzazione dei governatori e del confronto appena aperto sull’attribuzione alle Regioni del Nord di nuove competenze, i risultati del governo su occupazione e immigrazione. Ha deciso invece di circondarsi degli aspiranti rivoluzionari d’Europa, i partner del nuovo gruppo dei Patrioti, un club di estremisti di successo ma ovunque sconfitti.

Le sconfitte degli ospiti d’onore

Sconfitto l’ospite d’onore, Viktor Orban, che sperava di uscire dalle Europee come potenziale partner dei Popolari, per cambiare per sempre i destini del Continente, e invece si è dovuto rassegnare a fare il capofila di un gruppo escluso da ogni contrattazione. Sconfitto il Rassemblement National di Bardella, che in Francia si è dovuto arrendere alle sinistre unite nel Nuovo Fronte Popolare e a un governo che mette insieme quel che rimane del campo macronista, neogollisti e liberal-conservatori. Sconfitto l’olandese Geert Wilders, che a duecento giorni dall’inatteso exploit elettorale ha dovuto farsi da parte e rassegnarsi a un governo guidato dal tecnico Dick Schoof, ex capo dei servizi segreti. Sconfitto Andre Ventura, il capo del portoghese Chega, che pensava di battere banco alle Europee e invece ha perso il 70 per cento del suo elettorato. E anche la sola donna sul palco, Marlene Swazek, vicepresidente del Fpo austriaco, è senz’altro titolare di una vittoria ma vai a vedere se governerà: al momento il suo partito è isolato da ogni possibile partner.

Voglia di opposizione

Salvini è in una posizione molto differente dai suoi amici del cuore. Magari non ha vinto tanto con la Lega, ma governa, pesa, è il numero due o tre di un esecutivo di destra, il solo esecutivo di destra tra i Paesi fondatori d’Europa, e dal suo punto di vista sta pure ottenendo risultati: un importante membro del suo governo piazzato nella prossima Commissione Europea, i giri di vite securitari determinati dalle sue insistenze, l’Autonomia già incassata e in prospettiva l’elezione diretta del premier. E tuttavia per conquistare la platea di Pontida ha scelto un’altra postura, diametralmente opposta. Il Capitano si mostra ai suoi come un rivoluzionario perseguitato e mai domo, vittima di un processo senza fondamento, titolare di idee criminalizzate e ghettizzate, esattamente come Orban, Bardella, Wilders, Ventura, Swazek. Privilegia la recriminazione del leader messo al bando all’esibizione dei successi. Punta a galvanizzare il pratone con l’immagine della «santa alleanza» che prima o poi si imporrà sui falsari della democrazia. E alla fine viene il dubbio che questa Pontida sia lo show di un capo che preferirebbe davvero stare dall’altra parte, con quelli che non governano niente, quelli che possono permettersi un’opposizione a tutto campo senza responsabilità di treni, centraline elettriche, ponti da progettare e costruire, per poter contestare da destra quel che non gli piace e dire con Orban e con tutti gli altri: «A Bruxelles dobbiamo entrare con forza, deve essere occupata».

Salvini e il governo da far dimenticare

La Pontida 2024 è andata ben oltre lo schema solito della Lega di lotta e di governo. Qui è come se il governo fosse dimenticato o addirittura nemico. È senz’altro un nemico Antonio Tajani, che per due giorni è stato oggetto dei lazzi del pratone: anche il Capitano non gli risparmia frasi urticanti su cittadinanza («La priorità, per la Lega, è revocarla a chi delinque»), tasse («paghino i banchieri, non gli operai»), Autonomia («Indietro non si torna»). Ma pure la premier e i colleghi di maggioranza sono presenze di cui si fa volentieri a meno. Per loro non una citazione con nome e cognome, non un riconoscimento, non un applauso chiamato con qualche frase a effetto. Salvini preferisce, in tutta evidenza, far scordare ai suoi alleati europei e ai suoi militanti che è un importante membro del governo in carica e che, a differenza di quasi tutti gli stranieri chiamati sul palco, partecipa alle decisioni sul presente e sul futuro del suo Paese.

Dimenticare Palazzo Chigi, far finta di non esserci mai entrati, è peraltro il solo modo di alimentare la santa alleanza dei patrioti di Pontida e la sua collocazione decisamente filorussa sulla scena europea. «Bruxelles ha scelto l’entrata in guerra dell’Unione», grida, applauditissimo, Viktor Orban. Come si fa a dirgli che ogni singola virgola delle decisioni dell’Europa sul conflitto è stata validata dal governo italiano e anche da Salvini? Come spiegare a Wilders, a Swazek, a Bardella, tutti sostenitori dell’interruzione delle forniture di armi all’Ucraina, che la Lega continua a votare in ogni sede quelle forniture? E soprattutto, come dirlo a quelli sul pratone, quelli che ancora comprano le felpe di Vladimir Putin?

Meglio rifugiarsi nel racconto del patriota braccato, meglio l’amnesia temporanea sull’incarico nell’esecutivo, estremo rifugio di un capo di partito palesemente stufo del suo ruolo e delle scelte a cui partecipa come vice-premier. Un leader che sceglie la festa più significativa del leghismo per mandare un avvertimento agli alleati: sono sempre lo stesso, non pensate di avermi domato.