Il primo anniversario – La risposta di Tel Aviv e Gaza praticamente rasa al suolo. Netanyahu e il nodo ostaggi. Il prossimo fronte è l’Iran. Siamo a un passo da un altro conflitto mondiale

(Di Gad Lerner – ilfattoquotidiano.it) – Svegliati dai messaggi WhatsApp dei parenti che ci giungevano da laggiù, lo abbiamo avvertito subito, all’alba di quel sabato mattina 7 ottobre di un anno fa, che stavamo vivendo un voltapagina della storia. Invasione in corso. Preceduti dal lancio di migliaia di missili fino a Gerusalemme e Tel Aviv, miliziani provenienti da Gaza avevano travolto la barriera alta 6 metri dotata di radar e sensori raggiungendo armi in pugno numerosi centri abitati. Erano i miliziani stessi a trasmettere al mondo intero le prime immagini della strage in corso, filmate coi GoPro fissati sui caschi dei motociclisti al seguito dei gipponi e dei deltaplani. Hamas, in un documento pubblicato tre mesi dopo, il 21 gennaio 2024, riconoscerà che “forse” vi furono degli eccessi “a causa del rapido collasso del sistema militare israeliano e del caos determinatosi lungo le aree di confine con Gaza”. Si contarono nei giorni successivi circa 1.200 morti e 250 sequestrati, il più piccolo dei quali aveva appena compiuto dieci mesi. Non si sa se sia ancora vivo.
Mai era successo niente di simile dal 1948, anno di fondazione dello Stato d’Israele. Dove avevano fallito gli eserciti regolari degli Stati arabi confinanti, ad umiliare gli apparati di sicurezza israeliani, con inaudita efficacia, era stato un movimento fondamentalista islamico sunnita, Hamas, che in nome della religione teorizza la necessità del martirio, ovvero il terrorismo suicida, praticato in Medio Oriente per la prima volta dai seguaci degli ayatollah sciiti iraniani. Chi ha scambiato gli uomini di Hamas per partigiani rivoluzionari, avanguardia di un popolo in lotta per la propria liberazione nazionale, davvero prende un grosso abbaglio (le donne, le madri, man mano che questa guerra s’inferocisce sono sempre più ignorate e ridotte ai margini). Lo stesso pomeriggio del 7 ottobre il capo politico di Hamas, Ismail Haniye – che viveva in Qatar e che per la verità risulta non fosse informato dell’operazione “Diluvio al-Aqsa”, così come non lo erano i vertici di Teheran – lanciò un proclama alla gente di Gaza: preparatevi, dovrete versare molto sangue, un sacrificio necessario a ottenere la ricompensa divina, la liberazione della nostra terra. Haniye verrà ucciso con omicidio mirato proprio in Iran l’estate scorsa, subito rimpiazzato da Yahya Sinwar. Ma aveva previsto come il premier israeliano Netanyahu sarebbe caduto nella trappola. Umiliato nella sua promessa di “una pace basata sulla forza”, cioè sull’occupazione militare e sulla sottomissione di cinque milioni di palestinesi tra Cisgiordania e Gaza, nel giro di pochi giorni Netanyahu scatenò addosso agli abitanti imprigionati nella Striscia un’operazione militare per annientare Hamas; trasformatasi subito e premeditatamente in una criminale carneficina perpetrata sotto gli occhi indignati del mondo intero. Oltre 40 mila palestinesi morti, Gaza ridotta in macerie, Hamas ridimensionata sul piano militare ma, benché invisa a gran parte della popolazione, molto rafforzata politicamente. Un doppio disastro, che a onde concentriche espande quel conflitto locale non solo trascinandovi l’intero Medio Oriente dallo Yemen al Libano all’Iran, ma trasformandolo nel focolaio di una possibile guerra mondiale. Un anno dopo, ancora imbottigliato a Gaza, il governo estremista di Netanyahu s’illude di vincere la guerra balistica a migliaia di chilometri di distanza dando una spallata definitiva all’Iran, non bastandogli l’inconclusa sfida mortale agli Hezbollah che sta martoriando il Libano. Poniamo che nell’immediato appiccare questo incendio dia all’establishment israeliano la sensazione di aver ristabilito la deterrenza. Ma credono che l’Israele del futuro possa vivere in sicurezza schiacciando sotto un tallone di ferro i palestinesi? Credono cioè che esportare la guerra rimuova la guerra domestica di cui anche i recenti attentati terroristici, non fosse bastato il 7 ottobre, segnalano la ripresa?
Le lacerazioni interne alla società israeliana si sono acuite, nonostante la recente euforia isterica seguita all’omicidio mirato di Nasrallah. Dodici mesi dopo Israele è un posto meno sicuro per chi ci vive. Più isolato e screditato nelle relazioni internazionali. Sempre meno democratico al suo interno: un’etnocrazia ebraica, oltre che disonorevole, è un passo verso la perdizione. Ma lo stesso, sia ben chiaro, si può dire dei palestinesi sui quali a partire dal 7 ottobre si è abbattuto l’anno più nero della loro storia. Quel giorno non ha cambiato la vita solo agli ebrei e agli arabi, agli immigrati che s’immedesimano nella sofferenza dei palestinesi e agli studenti che contestano il suprematismo occidentale. Hanno perso tutti, quel giorno. Abbiamo perso tutti. Affermare con lo spargimento di sangue l’impossibilità della convivenza fra due popoli che non hanno nessun altro posto in cui andare, è stato l’apice di un fanatismo contagioso che ci conduce passo a passo verso un mondo peggiore.
“Dopo due ore di manifestazione totalmente pacifica e tranquilla, qualcuno ha gridato “mettetevi dietro allo striscione, chiediamo di fare un corteo”, ma non partiva nessuno.
Alcuni propotori sono andati a parlamentare con la polizia perché fosse permessa una manifestazione.
In quel momento, ho sentito e visto uomini in giacca e cravatta che gridavano a squarciagola negli walkie-talkie: “Tenetevi pronti, ci siamo”
Contemporaneamente, dal nulla, vicino al ponte, sono spuntati giovani ben piantati con tenuta da black block, cappuccio e passamontagna o maschera, che hanno costituito un cordone circolare in un attimo, costringendo me e i miei amici a ripararci sul marciapiede.
Solo professionisti potevano fare questo in una piazza affollatissima con un’efficienza da squadra molto addestrata.
Mi hanno riferito di tatuaggi inequivocabili, militari o fascisti.
Io ho “ammirato” il tatuaggio di una bandiera italiana che avvolgeva caviglie e cosce palestrate.
Ho avuto paura, eravamo molto vicini alla postazione della stampa, che però non so se ha lanciato l’allarme o li abbia almeno fotografati.
Un gruppo della Digos li guardava senza intervenire…….
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”La piazza era chiusa dalle forze dell’ordine, presenti anche in borghese ovunque tra la folla…”
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“È stato proprio in quel momento, con una sincronizzazione da film, che le forze dell’ordine hanno circondato la piazza in assetto antisommossa, impedendo a chiunque di uscire.
Alcuni incappucciati, assenti nelle due ore di manifestazione statica, sconosciuti a tutti e vestiti di nero, hanno lanciato due bombe carta verso la polizia mentre era in corso la trattativa per la concessione di un corteo.
La polizia ha subito risposto, caricando con lacrimogeni, manganelli, idranti.
Pare che sia stato divelto un segnale stradale per usarlo come arma contundente.
Io ho cercato un varco e sono uscita dalla piazza, dopo essere stata respinta da altri due blocchi di polizia.
Volevano criminalizzare e hanno fatto di tutto per riuscirci
Ma questo non deve assolutamente oscurare l’importanza della giornata nazionale di oggi a Roma e il suo messaggio.”
Questo è parte di un articolo di Agata Iacono, presente alla manifestazione…..non ci conosciamo, eppure abbiamo raccontato le stesse cose! L’ unica differenza è che io avevo notato il gruppo di vestiti di nero presenti in piazza almeno un’ ora prima che iniziassero i disordini, entrati probabilmente in ordine sparso dai vari accessi presidiati, per poi riunirsi dopo in gruppo! O io sono particolarmente attenta o altri sono ciechi……chi organizza le manifestazioni apra gli occhi se non vuole che ogni giornata importante per la democrazia sia trasformata in un oscuro buio della ragione!
Scusate il fuori tema, non proprio fuori se il citato “posto sempre meno democratico al suo interno “ pare essere anche il nostro…..
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Il solo fatto cara Ale che l’abbiano proibita è stata la miccia per accendere la disputa a suon di spranghe!
Mi ricorda e ricalca il G8 di Genova… stessa tattica e stesso casino!
In Italia non si può manifestare pacificamente…chiedere ai servizi!!
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I celerini non si smentiscono mai.
Che razza di gente è che passa la vita a manganellare chi manifesta contro il potere che in realtà, opprime anche loro?
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Il più grande alleato di Israele e degli USA è Hamas!
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il più grande alleato di Israele, tra gli altri, siamo noi che con le nostre tasse forniamo armi e appoggio militare a dei criminali
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Si però siamo succubi degli USA…sempre loro!!
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infatti
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Israele tutt’attorno a Gaza ha costruito un muro ‘tecnologico’ da 1 MLD di dollari e 60 km di estensione.
1- reticolati
2- muri di cemento armato profondi molti metri sotto terra
3- sensori sismici
4- telecamere termiche
5- palloni d’osservazione telecomandati con sensori termici e TV
6- torrette telecomandate con mitragliatrici
7- elicotteri pronti ad intervenire in 5 minuti.
BENE, malgrado questo, sono stati a dormire 1 ora nelle caserme senza fare NULLA per fermare Hamas con i bulldozer.
NON SOLO, il festival Nova doveva essere tenuto da tutt’altra parte e invece l’hanno messo vicino al confine!
NON SOLO bis. i carri ed elicotteri sono intervenuti bombardando gli stessi kibbuz.
Solo in un caso, un ufficiale dell’IDF diceva che dentro una casa c’erano 15 civili palestinesi tra cui 8 BAMBINI.
Bene, loro l’hanno bombardati senza pietà perché c’erano ordini appositi di riprendere il quartiere!
E poi vi chiedete da dove sono venuti tutti quei 1.200 morti.
Bibi già anni fa aveva detto di lasciare crescere Hamas per distruggere lo stato di Palestina!
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