
(di Massimo Giannini – repubblica.it) – Un Paese prigioniero, appeso ai chiodi di Salvini e ai nodi di Giorgetti. Chi l’avrebbe mai detto, dopo due anni di rutilante Rivoluzione Meloniana, che la mitica “Nazione” si potesse riscoprire uguale a quel che era. Paralizzata, come negli anni di binario selvaggio e della sinistra ferroviaria. E tartassata, come negli anni dei governi tecnici e dell’Europa Matrigna. Troppo indaffarata a “scrivere la Storia”, la Sorella d’Italia continua a sottovalutare la cronaca. A forza di smerciare “l’Ideale” al popolo — saltabeccando tra i valori di Scruton e gli ardori di Sangiuliano — non si è accorta che non solo i treni non arrivano in orario da mesi, ma adesso basta il colpo di martello di una ditta di geometri in subappalto per farli restare fermi in stazione, mentre il “ministro competente” ha testa e cuore solo per la rimpatriata della Feccia Nera sui pratoni di Pontida. A forza di brindare a italico spumante per ogni zerovirgola di posto di lavoro sottopagato in più — mentre la sorella Arianna organizza la bassa cucina delle nomine di sottogoverno e l’ex cognato Lollo affila la zappa patriottica per la meglio gioventù tricolore — non ha capito che in cassa non c’è più un euro da spendere. Dopo le seducenti cene newyorkesi con l’amico Elon, Signore di tutte le Galassie, l’ingrato compito di riportare la premier sulla Terra se lo prende suo malgrado il ministro del Tesoro. Come il fool scespiriano, Giorgetti dice a Bloomberg l’indicibile: nella manovra ci saranno più tasse per tutti. Individui, imprese piccole, medie e grandi, banche e assicurazioni, aziende della difesa e degli armamenti, società di capitali. “È uno sforzo che l’intero Paese deve sostenere”, avverte Giancarlo l’Austero.

Al di là dei borborigmi ambigui ai quali ci ha abituato, gli italiani devono essere grati a quest’uomo: almeno lui ha avuto l’incoscienza di dire la verità. L’operazione glasnost è stata imbarazzante, per il governo. Due ore e quasi due punti di Mibtel bruciati in Borsa dopo la sua uscita, il Ministero ha persino provato a smentire il ministro. Ma il danno ormai è fatto. Ora sappiamo lo stato delle cose: mentre Meloni continua a rintanarsi sull’Ucronia di Emmanuelle Carrère — raccontando al presente storico l’Italia che non è in nessun tempo e che sarebbe stata se non fosse quella che è — il Paese reale sta da tutt’altra parte. Sappiamo che lo spaccio clandestino di promesse elettorali è stato quasi un reato politico, per quanto erano false e fantasiose le medesime: scordatevi la cancellazione delle accise sui carburanti venduta in un video posticcio alla pompa di un benzinaio, o l’abolizione della Legge Fornero garantita con tanto di corteo urlante sotto casa della professoressa. Sappiamo che il nuovo Patto di Stabilità — salutato dalla presidente del Consiglio come un successo “migliorativo per l’Italia” nel dicembre 2023 — ci imporrà un saio fiscale fisso da 13 miliardi ogni anno per i prossimi sette anni. Sappiamo che nella manovra in arrivo potremo solo sperare in un paio di miliardi in più per la sanità e nella conferma del taglio del cuneo fiscale, già in vigore dal Conte Due, e per il resto sarà il solito Taglia&Cuci al quale ci hanno allenato quasi tutti i governi di tutte le Repubbliche.

Numeri alla mano, niente è come sembra. Ce lo dice l’Istat, che per il secondo trimestre dell’anno ridimensiona allo 0,4% la già esigua crescita del Pil e certifica l’aumento della pressione fiscale al 41,3%. Giorgetti parla la lingua del disincanto perché ha ben chiari i nodi strutturali che non sappiamo sciogliere, e che dovrebbero suggerire a Meloni e ai suoi Fratelli di non gioire perché “noi cresciamo mentre la Germania è in recessione”: senza lo sbocco tedesco tutto il Made in Italy farebbe la fine dell’automotive. Lo ripete il governatore Fabio Panetta, non un pericoloso bolscevico al soldo di Schline e Fratojanni. In Eurolandia, negli ultimi vent’anni l’Italia ha registrato il più basso incremento del Prodotto per abitante e il più scarso aumento della produttività. Rispetto a Francia e Germania, i redditi orari del lavoro dipendente sono inferiori del 25%, mentre i redditi medi delle famiglie sono più bassi di 4/5. Il tasso di occupazione che inorgoglisce tanto i queruli “dichiaratori” di TeleMeloni, pari al 66,7%, è lontano ben otto punti base dalla media Ue. Dal 2020 ad oggi l’inflazione si è mangiata il 12% dei salari, ma ha lasciato ingrassare i profitti del 25.
Nulla di quel poco che bolle nella pentola del dicastero di Via XX Settembre nutrirà queste ataviche astenie. Al contrario. Per trovare i 25 miliardi necessari a coprire gli impegni sottoscritti con l’Europa e gli sgravi garantiti tra cuneo e Irpef si ramazzerà nei soliti angoletti: un altro bel blocco della rivalutazione delle pensioni più alte (con tanti saluti a Quota 101), un’altra sforbiciata netta sulle detrazioni d’imposta (con cara grazia per il ceto medio), un’altra mini-stangata sul diesel (con buona pace del mitologico “addio alle accise”). Tutti film già visti, come nella peggiore tradizione dei turbo-populisti. Quando stanno all’opposizione bombardano il Palazzo d’Inverno, promettendo le verdi vallate agli elettori impauriti e impoveriti. Quando lo espugnano, e lo scoprono vuoto, svicolano tra un balzello e l’altro, oppure inventano l’extra-deficit dando la colpa a “quelli che c’erano prima”. Meglio così, piuttosto che far saltare il banco delle compatibilità di bilancio, sacrificando il Belpaese al Dio Spread. Ma insomma: chi credeva davvero alla Giorgia pre-25 settembre 2022 — quella che nei comiziacci urlava “è finita la pacchia”, non per Roma ma per Bruxelles — oggi non può essere contento.
Eppure una via d’uscita ce l’avrebbe, l’Underdog della Garbatella costretta a gettare la maschera, scoprendosi Draghetta della Ztl. Gliel’ha indicato di nuovo Giorgetti, che ora pesca dal suo cilindro tragico nientemeno che l’articolo 53 della Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Illuminati, i nostri Padri della Repubblica: vedevano l’orizzonte lontano della giustizia sociale. Peccato che il sacrosanto principio di redistribuzione, secondo il quale chi possiede più risorse deve contribuire molto più di chi ne ha meno, cozzi con tutto quello che le destre hanno detto e hanno fatto finora. L’estensione ulteriore della Flat Tax — tassa piatta che a parità di reddito consente di pagare il 15% a un autonomo e il 38 a un dipendente — è uno schiaffo alla progressività, oltre che uno strappo all’equità. Non sarà un caso, se ce l’hanno solo le democrature tipo Russia di Putin. Perché, invece di promettere altri sacrifici a chi ne ha già fatti troppo, il governo non aggredisce il tema dell’evasione, spalmando il carico fiscale in modo più sostenibile sul piano non solo erariale, ma anche morale? Perché concede al partito dei soliti ignoti al Fisco il ventiduesimo condono, che permette a chi non ha mai pagato le tasse di colmare il buco dei versamenti 2018-2022 con una manciata di spiccioli?
Certo, per farlo il “Gabelliere Criptico” (come lo chiama Mario Seminerio su Phastidio.net) dovrebbe spiegare al suo leader che il Carroccio sta sbagliando tutto. Spreca soldi con il Ponte sullo Stretto, mentre la rete ferroviaria in tilt lascia a piedi 10 milioni di viaggiatori. Spreca tempo con l’Autonomia Differenziata, mentre in Sicilia la rete idrica a pezzi lascia senz’acqua due milioni di utenti. Ma non serve a niente. Per Capitan Matteo è già domani: sta già sulle rive del Po, a celebrare la vittoria della Lega Santa contro l’Impero Ottomano insieme all’Internazionale Eurofobica di Orbán, Le Pen e Wilders. Quanto a Meloni, è inutile contarci: non si muove da Ucronia.
magari l amara verità andava comunicata a Borse chiuse.. non sarebbe cambiato più di tanto ,ma magari si evitava il crollo .
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