Il caso Raimo, ma non fa ridere – Chiede una manifestazione contro il ministro, viene registrato e rischia il posto. Ma se criticare viene fatto passare come denigrare, siamo allo Stato totalitario

(Di Tomaso Montanari – ilfattoquotidiano.it) – Mentre la legge che trasforma di fatto l’Italia in uno ‘Stato di polizia’ è all’esame del Senato della Repubblica, altri solerti organi della pubblica amministrazione accelerano la marcia verso una situazione di tipo ungherese. Uno tra gli ultimi passi in questa terrificante direzione appare davvero allarmante, ed è l’istruttoria di un procedimento disciplinare che rischia di provocare la sospensione dall’insegnamento senza stipendio, fino ad arrivare al licenziamento, di Christian Raimo. Il quale insegna storia e filosofia in un liceo romano, studia la storia della scuola e della pedagogia, ed è uno scrittore e un intellettuale pubblico. Le sue radici culturali si intrecciano a quelle di Alessandro Leogrande, e affondano nel pensiero e nella pratica di Goffredo Fofi, e dunque in quelli di Danilo Dolci, in una sinistra radicale nutrita di cattolicesimo democratico e tradizione anarchico-pacifista. Raimo ha una grande e profonda esperienza nel mondo dell’editoria italiana, e molti libri degli ultimi anni si devono a sue intuizioni: tra questi anche il mio Le pietre e il popolo (Minimum fax 2013 e 2022), che dà il titolo a questa rubrica.
Quando Raimo parla in pubblico, gli capita di farlo con grande chiarezza: per fortuna. Così l’11 settembre, mentre partecipava alla prima festa nazione di AVS (con la quale si era candidato al Parlamento europeo), ha detto: «penso che vada fatta da Alleanza Verdi e Sinistra… una manifestazione contro Valditara, non per la scuola ma contro Valditara perché ci sono dentro la sua ideologia tutto il peggio, la cialtronaggine, l’incapacità di avere una biografia internazionale, la recrudescenza appunto dell’umiliazione, un abilismo … un evidente abilismo, il classismo, il sessismo: c’è tutto. E quindi io penso che se è vero che non è lui l’avversario, è vero che è lui il fronte del palco di quel mondo che ci è avverso, e quindi vada colpito lì come si colpisce la Morte nera in Star Wars: come dire che c’è un impero, però c’è la Morte nera … : io penso che, come dire, non è difficile colpirlo perché tutto quello che dice è talmente palese, evidente, arrogante, cialtrone, lurido – direi lurido è una parola che si attaglia a quello che dice Valditara – che insomma è facile vederlo». Il senso è chiaro: come la fortezza stellare apparentemente invincibile (e invece alla fine distrutta da un pugno di partigiani della Repubblica), Valditara è il braccio armato del regime, ma è anche talmente disarmato culturalmente da poter essere facilmente sconfitto. La crudezza della lingua di Raimo potrà piacere o meno (a me non dispiace per nulla), ma la lucidità dell’analisi appare evidente. Ed è un’analisi legittima, espressa esercitando la libertà che (ancora?) ci garantisce l’articolo 21 della Costituzione, durante la festa di una forza politica di opposizione rappresentata in Parlamento. È profondamente sconcertante che questa, e altre analoghe frasi di Raimo, siano state sbobinate dai solerti funzionari del Ministero dell’Istruzione e del Merito e siano ora il ‘corpo del reato’ al centro di un (nuovo) provvedimento disciplinare che sta per essere irrogato. Nella prosa (tra Ovra e Kafka) di Viale Trastevere si legge che le parole dell’imputato «si inseriscono in un più ampio contesto costituito da plurime condotte reiterate nel tempo, non conformi alla responsabilità, alla correttezza e ai doveri specifici inerenti alla funzione di docente, oltre che lesive dell’immagine della scuola, della Pubblica Amministrazione e delle istituzioni.
La gravità dei fatti qui contestati si desume altresì dall’intenzionalità dei comportamenti». L’ultima frase è veramente geniale: Raimo evidentemente non parlava sotto i fumi dell’oppio comunista, o ipnotizzato dal fantasma di Bakunin: no, perbacco, l’ha detto apposta! Ci sarebbe solo da ridere, se non fosse che Raimo rischia ora davvero di essere licenziato, e soprattutto se non fosse che questo mostruoso provvedimento svela l’uso politico e le intenzioni autoritarie del ministro Valditara, e di questo governo il cui partito-guida è un partito di matrice fascista. Il Ministero sostiene che Raimo avrebbe violato i vari articoli del Codice disciplinare e di condotta dei dipendenti dell’Istruzione, e di quello dei pubblici dipendenti, che sanzionano un danno di immagine inflitto «all’Amministrazione». Si potrebbe parlare a lungo della mostruosità di questi codici di matrice aziendal-repressiva, in flagrante contrasto con la Costituzione: ma qui il punto è che criticare politicamente il ministro non significa in nessun modo recare un danno di immagine all’Amministrazione. Laddove identificare quest’ultima con il livello politico, significa ragionare già nei termini dello Stato totalitario che i signori del governo hanno in mente. Il che non fa che dimostrare che le analisi di Christian Raimo sono non solo perfettamente legittime, ma anche drammaticamente centrate.
“Se criticare viene fatto passare come denigrare, siamo allo Stato totalitario“. La domanda che dovremmo porci è se davvero stiamo vivendo in una democrazia “reale”. Nessuna retorica, basterebbe guardare in giro, anche nel nostro piccolo, nei comuni dove viviamo. Le decisioni, dalle più importanti a livello nazionale a quelle del sindaco di una cittadina, vengono davvero prese pensando al popolo, all’elettorato?
“Democrazia”, etimologicamente significherebbe “governo del popolo”, un governo che fondi ogni decisione rispettando la sovranità popolare, quindi voleri e aspettative dell’elettorato. E, senza entrare nel merito dell’articolo di Tomaso Montanari, perché chiaramente il dissenso verrà sempre visto come “fumo negli occhi”, credo che la risposta sia un no quanto mai deciso. Alcuni giorni or sono feci l’esempio del contratto Stato/concessionari autostrade, dove il governo stipulò – secretandolo – una convenzione vergognosamente sbilanciata verso il privato, favorendo quindi un numero talmente esiguo di persone che percentualmente non sarebbero nemmeno quantificabili: una famiglia contro 45 milioni di elettori. Nessuno, da proprietario, nemmeno la persona più stu.pida del mondo, potrebbe mai concepire simile accordo, eppure i nostri politici lo fecero, senza vergogna alcuna. O, forse, sì, visto che lo secretarono, con la scusa di “ragion di Stato”. E per quanto grave e pesante possa essere stata quella decisione (in un fragoroso silenzio, in quanto tutti coinvolti, e non denunciata da mass media conniventi), rimane una goccia nel mare dell’ipocrisia politica. Quindi, ripetendo la domanda: viviamo davvero in una democrazia? Farei rispondere a Razzi, cognome degno della stagione guerrafondaia che stiamo vivendo, “questo io non creTo”, cui seguirebbe “amico mio, fatti li c@zzi tua”. In conclusione, volendo prevenire la classica (e stu****) osservazione “perché non vai a vivere in Corea del Nord”, rispondo primo perché sono nato qui e non mi chiamo Kim Yun Kang, secondo, sarebbe come dire che mangiare, poco, una volta ogni 2/3 giorni non è male, visto che ci sono persone che muoiono di fame. La democrazia non si dovrebbe “pesare” confrontandola con rigide dittature, bensì rispetto il significato della parola.
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Se è possibile aggirare l’articolo 11 della costituzione allora è possibile aggirarne qualsiasi altro. Il 21 non fa differenza.
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Beh, se è per quello l’articolo uno, il primo dei 12 fondamentali (termine sconosciuto ai più, che poi citano a pappagallo postille ..), così definiti dai padri costituenti, non da un Bassetti qualsiasi…, recita, nelle prime 8 parole dell’articolo stesso, “L’Italia è una Repubblica democratica (af)fondata sul lavoro“. Il problema è che chi ci governa, da sempre, se ne strabatte gli zebedei della Costituzione: siamo il Paese dove un inquisito, anche per reati gravi, può stare in parlamento, mentre per poter fare l’operatore ecologico, ergo partecipare ad un concorso…, bisogna esibire certificato penale intonso.
Corte Costituzionale, rispetto i principi fondamentali (ovvero i primi 12 articoli) della Costituzione: “Il contenuto e la carica di attualità dell’art. 1, tuttavia, non si fermano qui. A quella che avrebbe potuto essere una previsione completa, fondata sulla progressiva
equiparazione tra Repubblica-democrazia-sovranità popolare, l’Assemblea costituente scelse di aggiungere un elemento decisivo, vale a dire che quella Repubblica
democratica è “fondata sul lavoro”. La scelta che ispirò in questo senso i costituenti ha una duplice ragione. La prima è di tipo storico, perché la centralità del lavoro costituisce uno dei grandi terreni d’intesa su cui maturò il compromesso tra i partiti presenti in Assemblea costituente.”
E, con il green pass, se ne strabatterono le ghiandole sessuali maschili persino dell’Europa e normative sovrannazionali: Cirina Ferroni, professore ordinario di Diritto Costituzionale: “«L’esatta portata dell’intervento europeo era chiarita già in premessa con il “considerando 36” ove si afferma la necessità di “evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate“. Si sottolinea addirittura che il possesso della certificazione “non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri, quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto”. Infine, si affermava in maniera netta che il regolamento non poteva essere interpretato nel senso di istituire un obbligo ad essere vaccinati. È evidente come l’intera architettura di questa vincolante premessa sia stata stravolta dalla regolamentazione interna italiana”.
“Il green pass nostrano ha violato le norme Ue contro le discriminazioni”… – Garante Privacy
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