
(Giuseppe Di Maio) – E poi ci accorgiamo, ma con insufficiente afflizione, che non siamo altro che bestie. Lo abbiamo capito quando il continente della ragione ha fatto posto al continente della volontà, al “trionfo”come dall’opera di Leni Riefenstahl, quando le Germanie di Goethe e Schiller hanno costruito forni crematori, quando hanno ridotto una parte della specie umana a cavia, a spazzatura, a combustibile. E il virus, inoculato nell’anestesia emotiva, nell’assenza di umanità, ha incubato nei corpi delle vittime e nelle anime dei loro congiunti. Poi, sull’onda del senso di colpa generale, fu deciso di dare una patria a quelle vittime, quasi per metterle al riparo dei nostri pogrom, peculiarità incontrollata dell’Occidente, del genere umano tutto.
Il posto che essi scelsero, che si sono augurato per millenni: “L’anno prossimo a Gerusalemme”, era occupato da altre popolazioni. E l’unico modo per non disturbare i residenti sarebbe stata una migrazione contenuta, rispettosa dei padroni di casa, dei loro costumi, delle loro abitudini, e persino dei loro sogni. Invece, il protettorato internazionale nelle mani dell’Occidente, barattò l’occupazione della terra con una mission impossible: fare da sentinella alla civiltà dominante in casa degli Arabi. Già, impossibile, perché non appena gli intrusi vi si stabilirono, alterando la geografia antropica della zona, costrinsero alla reazione i vecchi padroni (prima da soli, poi in coalizione) che, nel perdere rovinosamente contro la civiltà delle armi, subirono quella che poi chiamarono “Nakba”, catastrofe.
Da allora Israele è stato considerato dagli Arabi parte dell’Occidente, cioè straniero, oppressore, nemico. Il divario tecnologico con loro, la sua ambizione di costruire una grande nazione secondo il racconto biblico, e anche di più, ha reso impossibile ogni tentativo di mediazione e di pace. L’ingiustizia costante ha creato una reazione violenta, feroce, ha creato combattenti suicidi e un popolo pronto al sacrificio, è stata per massima parte responsabile dell’esplosione dell’integralismo islamico e della sua recrudescenza. L’ultimo attacco terroristico di Hamas non è più Intifada, è un’aggressione programmata, una provocazione per scoprire la realtà di Israele, per mette a nudo il virus incubato con la Shoah e durante la permanenza bimillenaria in un Occidente ostile. L’esperienza dei Kibbutz, la giovane democrazia, l’irrigazione del deserto, l’incredibile progresso, sono conquiste inutili e fatue di fronte alla grettezza del vero progetto collettivo. L’iniquità, la ferocia, l’incapacità di condividere una terra altrui, fanno del progetto Israele un assoluto fallimento. Sarebbe meglio che i suoi cittadini si rimettessero sulle navi per raggiungere i loro padroni in Europa e in America, prima che gli Arabi, in un mondo non più americano, non li ributtino in mare.
Sui padroni non sono d’accordo, non è una questione di padroni ma di interessi.
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quando crollerà l’impero americano chi difenderà i poveri (diventati)di armi e di soldi dalla vendetta araba.? Moriranno di bombe e di fame come i palestinesi?
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Vedete, cari signori e signore, il problema è che gli arabi sono troppi per essere trattati come è successo appena nell’800 ai tasmaniani (di cui non esiste più un individuo purosangue, solo un numero non definito di meticci) o dei fuegini (estinti totalmente nel primo ‘900, con qualche superstite qua e là ma la loro terra è diventata bersaglio dei conquistatori europei).
Non se ne esce. Gl israliani sono troppo potenti, grazie sopratutto alel loro amicizie d’oltremare e oltreoceano, mentre gli arabi sono troppi e continuano ad aumentare malgrado qualsiasi disastro subito (la Striscia ha raddoppiato in 20 anni!).
Non ci sarà mai una soluzione militare, e a questo punto, nemmeno civile. Alla fine, forse, finirà come in Afghanistan oppure come con qualche repubblica sudamericana tipo Venezuela.
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