Quando c’è di mezzo il tifo, scattano le minimizzazioni e i distinguo

(di Massimo Gramellini – corriere.it) – La manager della Roma, Lina Souloukou o comunque si scriva, s’è dimessa dopo che alcuni ultrà avevano minacciato lei e i suoi bambini, costringendoli a vivere sotto scorta. 

Ora, se la manager di un’azienda di frigoriferi avesse lasciato l’incarico a causa delle pressioni ricevute dalla mafia, sarebbe diventata un caso politico (almeno spero). E se una ragazzina avesse cambiato scuola per sottrarsi alle provocazioni di una banda di bulli, torme di esperti avrebbero invaso le pagine dei giornali denunciando l’imminente fine del mondo. Invece, quando c’è di mezzo il tifo, scattano le minimizzazioni e i distinguo. 

La metà di italiani che non è afflitta dal morbo considera l’altra metà una manica di matti e quindi se ne infischia. Mentre la metà che condivide quell’emozione ossessiva (a proposito, sono primo in classifica e non mi succedeva dalla quinta ginnasio) tende non tanto a giustificare i violenti, ma a comprenderne i malumori, anche perché quasi sempre coincidono con i propri. 

Come se gli ultrà fossero il braccio armato dei nostri cattivi pensieri e godessero di uno speciale salvacondotto alla James Bond: una licenza non di uccidere, ma di intimidire.

Sia chiaro, non me la prendo con il tifoso della Roma che dice: «Hanno esagerato, però la manager aveva cacciato in malo modo De Rossi». Me la prendo con il tifoso che è in me, perché so che avrei fatto molta più fatica a scrivere questo articolo se a minacciare Souloukou fossero stati gli ultrà della mia squadra del cuore.