(Giuseppe Di Maio) – Sono entrato nel M5S nell’aprile del 2013, all’indomani dell’exploit del Movimento in quella tornata elettorale. Perciò, non sono un grillino. Fui attratto dalla compagine parlamentare appena eletta nelle istituzioni, dalla sua giovane età, dalle speranze che da allora si aprirono per la democrazia italiana. Fino a quel momento mi ero sempre vantato di aver “perso” le elezioni, vale a dire che dagli anni ’70 ero appartenuto ad una minoranza ideale, al contrario di un popolo che votava in massa partiti che io francamente aborrivo. Nel 2018 un cou cou mi aveva avvertito: “Come mai hai votato un partito che è primo nel paese?” E volli rispondermi così: “Perché il vento sta cambiando, e attraverso l’esperienza del Movimento le minoranze storiche stanno diventando maggioranze.” Non era così, c’era stato un equivoco. Ma perché? Perché il guazzabuglio grillino aveva incamerato senza distinzione reazionari e radicali (qualche sparuto conservatore incuriosito), e si teneva in piedi con un armamentario di cose da fare, e un ventaglio di politiche possibili che per allora non avevano ancora scontentato nessuno. Poi, dal guazzabuglio cominciò a colare la realtà. Si scoprì che le cose da fare, al contrario di come si sosteneva, erano o di destra o di sinistra, e allora i pentastellati si divisero sui provvedimenti, sulle alleanze, e sulla strategia. Nacquero i delusi. Ed io che ero convinto che una volta avviato il processo a 5 stelle nessuno più si sarebbe tirato indietro. Invece, le idee (quando ci sono), camminano poi con le gambe degli uomini, e gli uomini spesso, anche in buona fede, fanno cappelle inenarrabili, che però mettono a nudo la loro vera natura e le contraddizioni costanti che hanno tenuto nascoste.

Il M5S è passato dal 33% al 9,9% com’è possibile? Sentitemi bene: il popolo non capisce una sega. Inizialmente non aveva scelto un’idea, aveva scelto una possibilità aperta nelle fauci del sistema e l’aveva seguita. Aveva sperato in un potere taumaturgico del Movimento – ognuno secondo la propria condizione sociale, morale e psicologica – e, man mano che il sogno si trasformava non senza inciampi in realtà, esso perdeva una parte notevole della sua forza rivoluzionaria. Finché, l’amore che i pentastellati hanno allevato per Conte non è stato loro definitivamente fatale. Giuseppe Conte con grande fatica (e non senza errori) sta trasformando il guazzabuglio in un’idea, e il popolo, abituato ai sentimenti, alle anime, ai ricordi, alle nostalgie, si è smarrito. Ma a me francamente, che il 10% degli elettori abbia veramente capito la missione del Movimento nella politica italiana, la sua ambizione di rifondare le ragioni della sinistra e di sostituire la sua classe dirigente, mi pare anche troppo.