(Giuseppe Di Maio) – Il confronto dialettico che mi tocca in questi giorni di relax, ha più o meno lo stesso registro: l’interlocutore, che è il migliore interlocutore possibile, concorda con tutte le mie idee sulla società e sulla democrazia, ma s’irrigidisce e retrocede non appena la visione del mondo che tratteggio intacca i suoi interessi privati: non appena compromette la sua comodità, il suo salario, la proprietà, i diritti acquisiti. Nessuno pare disposto al riconteggio dei meriti, alla rideterminazione degli stipendi, al ricalcolo delle tasse. Reazionari e conservatori non sono identici in questa riluttanza, ma molto simili: cambia il loro grado di disponibilità a modificare le leggi dello Stato, però nessuna di esse deve mettere in pericolo i benefici conseguiti o i vantaggi da acquisire. Vi assicuro che una discussione politica fondata su questi principi spegne ogni speranza di bene comune.

La Democrazia è un sistema teorico accattivante generato da élites economiche e culturali momentaneamente escluse dal potere; un sistema che funziona solo tra pari. La gran massa dei cittadini chiamata a partecipare non ha lo stesso grado di cittadinanza: possibilità economiche, capacità culturali, coscienza dei propri diritti, coscienza di classe. Non ha lo stesso accesso all’informazione. Difatti, cittadini informati da una minoranza, che hanno una coscienza distorta dal prisma della propria condizione sociale, che confondono i propri interessi con quelli dei dominanti, eleggono una classe dirigente che non è lo specchio reale della nazione, che non riflette il pubblico tornaconto. Essi costruiscono parlamenti in cui la volontà generale è espressione della minoranza dominante, e dove la divisione in destra e sinistra è un artificio manipolatore per controllare le speranze di cambiamento. Un artificio che conduce alla coscienza disperata del “sono tutti uguali”. In un sistema così il vicino di casa è il nostro carceriere, un vicino permeabile alla dittatura mediatica e inarruolabile a un progetto condiviso. Un sistema così non ha speranza di realizzare la libertà e meno che mai la giustizia.

E veniamo alle democrazie fasulle. Forse credete che il male dell’Italia e delle democrazie occidentali siano le nostre destre? No, il vero male è la mancanza di una sinistra. Prodi parla di Renzi quale figliol prodigo, e auspicherebbe che dichiari di essere prima peccatore e poi pentito; Fratoianni con cui quasi ci siamo, vorrebbe una sua dichiarazione in cui annunci l’uscita dalla giunta di Bucci a Genova, l’uscita dalla giunta regionale della Basilicata, e un suo ripensamento sul rinascimento saudita. Perbacco! Ma ancora dobbiamo capire che Renzi è destra, che ha promosso politiche di destra e ora vota con la destra? Anzi, chiediamolo al PD: dove finisce l’asse politico delle destre, da che punto in poi si può parlare di sinistra? Dove iniziano i temi che vogliono a tutti costi anteporre ai nomi, dove comincia la difesa del salario minimo, del welfare, del reddito garantito, della giustizia, della salute, della pace, dei diritti negati? Tra gli elettori di Renzi e Calenda? Ma siamo sicuri che sta facendo politica per la maggioranza degli italiani, e non per le lobbies?