IMMAGINIAMO una serie televisiva prodotta e lanciata sulla base dello scottante interrogativo: siamo sicuri che sia stato Caino ad uccidere Abele e non invece il contrario? Realizzato da una delle tante piattaforme

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – “IL TRUE CRIME appaga la fascinazione del male e la fame di contenuti nelle piattaforme. Oggi aumentano le serie che vogliono fa credere nell’innocenza dei condannati o anche solo soddisfare curiosità insane”. Da un’inchiesta di Le Monde

IMMAGINIAMO una serie televisiva prodotta e lanciata sulla base dello scottante interrogativo: siamo sicuri che sia stato Caino ad uccidere Abele e non invece il contrario? Realizzato da una delle tante piattaforme globali che si dedicano a questo genere d’inchieste, il Caso Caino potrebbe svelare una verità assai diversa da quella che per secoli ci è stata propinata. E, dunque, in definitiva, costringerci a chiedere: la Bibbia ha detto il vero? Che (non certo da oggi) la domanda di pre-verità nella dimensione dell’intrattenimento stia conoscendo un’impennata di ascolti si spiega con la presenza sempre più invasiva del cospirazionismo nella pancia della pubblica opinione, ma non soltanto. Nel fenomeno in questione ciò che viene prima della verità si nutre di convinzioni apodittiche tese a confutare in modo dogmatico e assoluto la verità cosiddetta ufficiale, arrivando se necessario a negare l’evidenza dei fatti. Che l’offerta si sia rapidamente adeguata alla richiesta di true crime in chiave complottista è nella natura delle cose (e del marketing). L’ “inchiesta” sull’innocenza di Rosa e Olindo, al di là delle sentenze basate su prove inequivocabili e sulle reiterate ammissioni degli accusati, ha regalato alle Iene ascolti sontuosi. Che potrebbero replicarsi nel caso la trasmissione di Italia Uno decidesse di ritornare all’attacco. Infatti, il popolo del “chissà cosa c’è dietro” non si rassegna mai. Come dimostra il clamoroso successo del caso Yara Gambirasio, da settimane in testa alle classifiche Netflix, serie tesa a smontare le prove a carico di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo dopo tre gradi di giudizio per l’assassinio delle tredicenne. Ciò nonostante il genetista dell’Università di Tor Vergata, Emiliano Giardina – le cui ricerche sono state decisive nell’individuazione del Dna di Ignoto1 – ascoltato da Netflix (“ delle mie spiegazioni hanno preso la parte più banale”) e intervistato dal Fatto abbia espresso una elementare verità: “le prove scientifiche non mentono”. Ragionamenti che, tuttavia, non scuotono le certezze dei supporter della pre-verità (e del chissà cosa ci nascondono). Inutile dire che mentre le grandi piattaforme giurano che nelle storie raccontate non si vogliono emettere giudizi di valore le famiglie, i cui cari hanno subito gravi fatti di violenza, sono sottoposte a una vittimizzazione secondaria. Con altri e inaccettabili tormenti. Come nel caso dei Gambirasio o dei sopravvissuti alla strage di Erba. Fossimo in Abele, insomma, ci troveremmo un avvocato.que ornare porta.