Dal Jobs Act all’Autonomia differenziata, è partita la corsa alla raccolta di firme. Un successo, ma anche una contraddizione

(di Michele Ainis – repubblica.it) – S’annunzia una stagione di sfide, di duelli. Referendum, ecco l’arma che impugneranno i contendenti. Venerdì 19 luglio il battesimo del referendum sul lavoro promosso dalla Cgil, ma non è affatto l’unica iniziativa. Però intanto il principale sindacato di sinistra spara quattro quesiti abrogativi contro una legge (il Jobs Act) decisa da un governo di sinistra. E deposita un milione di firme in Cassazione, il doppio di quelle necessarie.

Un successo, ma al contempo una contraddizione. Giacché nei referendum le sottoscrizioni volano, i voti s’inabissano. Negli ultimi trent’anni il quorum di validità (la metà più uno del corpo elettorale) è stato raggiunto soltanto nel 2011, sul referendum per l’acqua pubblica e contro il nucleare. Tutti gli altri referendum sono naufragati, anche per gli appelli all’astensione di chi non è d’accordo.

Colpa del quorum, per l’appunto. Che viceversa non è uno sbarramento nel referendum più importante, quello costituzionale. Altra contraddizione.

Colpa altresì delle modalità con cui si consuma questa procedura. Difatti nei referendum puoi firmare online, ma non puoi votare online. E l’esercito dei votanti comprende 5 milioni d’italiani residenti all’estero, che però sui referendum non votano mai. Mentre alle politiche gli elettori votano sempre meno, ormai uno su due.

Sicché nel referendum sull’Autonomia differenziata — altra consultazione che si profila all’orizzonte — le opposizioni dovrebbero ottenere quasi il doppio dei voti guadagnati alle elezioni del 2022, circa 12 milioni di voti aggiuntivi. Valli a trovare.

Eppure tutti questi ostacoli non frenano la corsa ai referendum. Il 16 giugno è partita la raccolta delle firme contro la legge elettorale, il Rosatellum (quattro quesiti). Il 26 giugno la Gazzetta ufficiale ha pubblicato gli annunci di due nuove richieste di referendum abrogativo sulla caccia. Senza dire dei referendum consultivi.

Per fare un solo esempio, a luglio in Sardegna è cominciata la raccolta delle sottoscrizioni (ne servono 10 mila) per fermare i parchi eolici e fotovoltaici. O senza dire delle richieste plurime e congiunte.

Così, il 5 luglio è stato depositato in Cassazione il quesito referendario totalmente abrogativo della legge Calderoli sull’Autonomia differenziata. Contemporaneamente è decollata un’iniziativa, contro il medesimo bersaglio, da parte dei Consigli regionali. Ne servono cinque, dice la Costituzione.

Sicché ha fatto da battistrada la Campania, seguita a ruota da Emilia, Sardegna, Puglia, Toscana. Le Regioni governate dal centro-sinistra. Che tuttavia sparano due colpi, proponendo un doppio referendum: l’uno totale, l’altro parziale.

Da qui dubbi politici, giacché per i critici il secondo quesito offrirebbe alla Consulta l’opportunità di dichiarare il primo inammissibile, senza passare per castigatrice. E dubbi giuridici, come no.

Perché la Sardegna è una Regione a statuto speciale, mentre l’Autonomia differenziata s’applica alle Regioni ordinarie: nel suo caso mancherebbe dunque l’interesse, la legittimazione a usare la via referendaria. Perché la legge Calderoli è collegata a quella di bilancio, quindi ricadrebbe fra le categorie su cui la Costituzione vieta il referendum.

Infine perché è una legge “a copertura costituzionale”, ossia connessa a una disposizione della Carta (l’articolo 116) cui offre attuazione; di conseguenza non sarebbe possibile abrogarla attraverso una consultazione popolare, dichiara fin dal 1978 la Corte costituzionale.

Poi, certo, nella sua giurisprudenza può leggersi di tutto. E suona un po’ paradossale che il confronto tra maggioranza e opposizione dipenda dai verdetti d’un tribunale, sia pure il più elevato. Ma la causa sta nell’assenza del confronto, nel dialogo fra sordi.

La democrazia è compromesso, diceva il vecchio Kelsen; sennonché i partiti in Italia non ne sono capaci. Nemmeno quando si coalizzano, giacché il tuo alleato è anche il tuo peggior nemico, recita una regola non scritta della politica italiana.

Da qui leggi pasticciate, dove un compromesso verbale maschera l’impotenza a raggiungere un accordo sostanziale. Da qui scontri muscolari con l’opposizione, cui non resta perciò che il referendum, per affermare le proprie ragioni.

Succederà pure con il premierato: alla fine della giostra, un referendum costituzionale deciderà vinti e vincitori. Ma lo voteremo dopo aver votato altri referendum. Meglio: vuol dire che ci arriveremo già allenati.