
(di Michele Ainis – repubblica.it) – La democrazia ha nuovi malanni, servono nuove medicine. Sui primi si è levata la denunzia del presidente Mattarella: diseguaglianze, crisi dei diritti, astensionismo, conformismo, assolutismo e tutti gli altri «ismi» che negano le libertà costituzionali. Mentre sullo sfondo campeggia una minaccia: la tirannia della maggioranza, adombrata già nell’Ottocento da Alexis de Tocqueville. Anche la cura è vecchia ormai di secoli. Consiste nella separazione dei tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario), affidandoli a organi diversi. Giacché chiunque abbia potere è spinto ad abusarne; e allora «che il potere arresti il potere», che si mettano i potenti gli uni contro gli altri, scriveva nel 1748 il barone di Montesquieu. Ma è ancora sufficiente questa cura, nel paesaggio del terzo millennio? Dove s’affacciano fenomeni per l’innanzi sconosciuti, che recano pericoli altrettanto inediti e letali. Da un lato, nuovi poteri che non si lasciano inquadrare nella vecchia tripartizione: a partire dal potere economico dispiegato dalle cinque grandi aziende tecnologiche (Google, Apple, Meta, Amazon, Microsoft), i cui bilanci superano quelli di interi Stati. È un potere prepolitico, che tuttavia può determinare la conquista del potere politico, e in ogni caso condizionarne l’esercizio. Dall’altro lato, l’esperienza ci ha insegnato che ogni potere pubblico può divorare l’altro, pur mantenendolo formalmente autonomo e distinto. E il premierato ne è la prova. Perché trasforma il Parlamento in una propaggine del governo, che lo controlla, l’asservisce, e se è disobbediente lo licenzia, convocando elezioni anticipate. «Due miserie in un corpo solo», cantava Giorgio Gaber. Due in uno, ma è l’opposto che bisogna fare. Uno in due: dalla separazione dei poteri alla separazione del potere.Dopotutto, è questa la lezione che ci impartisce l’antitrust. La sua prima disciplina (Sherman Act) debutta nel 1890 negli Stati Uniti, procurando lo smembramento della Standard Oil e di altre imprese monopolistiche. Ora servono azioni analoghe per contrastare i nuovi colossi digitali, sull’altra sponda dell’Atlantico già se ne discute. Mentre su quest’altra sponda ci occorre una legge sulle lobby (l’aspettiamo ormai da mezzo secolo), una normativa sul conflitto d’interessi che non sia una foglia di fico, una disciplina rigorosa (ma non ipocrita) sul finanziamento dei partiti, il rafforzamento dei limiti antitrust. Quanto ai poteri pubblici, bisogna disarmarli agendo al loro interno, non più solo all’esterno. Perché ciascun potere deve trovare in se stesso gli anticorpi contro la degenerazione della sua potenza in prepotenza, a scapito degli altri poteri.
Come accadde già negli anni Settanta, quando in nome della centralità del Parlamento quest’ultimo usurpò le prerogative del governo. Negli anni Novanta, quando Tangentopoli sancì il predominio del potere giudiziario sul legislativo. Negli anni Duemila, quando l’abuso dei decreti e varie altre forzature hanno scandito l’impero dell’esecutivo sulle assemblee parlamentari. Eppure proprio dal potere esecutivo giunge l’esempio più virtuoso. Con la cessione di varie competenze alle autorità indipendenti – un processo avviato nel 1990, che non si è affatto concluso. Dividere la potestà amministrativa, dislocarla presso organi neutrali, ecco la ricetta. E il potere giudiziario? Riflette questa stessa logica la separazione delle carriere fra giudici e pm? Sì, purché sia garantita l’assoluta indipendenza dei secondi dal governo. Ma soprattutto è necessario spezzare il monolite della potestà legislativa, che altrimenti può divenire ostaggio d’una maggioranza dispotica, senza contraltari. La riforma Meloni tace sullo statuto delle opposizioni, previsto viceversa dalla riforma Renzi del 2016. Ma nel Regno Unito l’opposizione forma un governo ombra fin dal 1937, e il suo leader riceve uno stipendio dallo Stato. Negli Usa il «governo diviso» (divided government) ha segnato 26 anni su 32 alla fine del Novecento, e adesso ne fa esperienza Biden. Idem in Francia con la cohabition, che sta per rinnovarsi a spese di Macron. Sicché altrove pure l’indirizzo politico viene suddiviso fra vari commensali. Da qui una lezione: separiamo il potere da se stesso, tagliamogli le unghie.
Se poi si riuscisse anche a separare il denaro dal potere sarebbe il non plus ultra, e questa NON è un altra storia.
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