Dalle nomine Ue all’inchiesta di Fanpage. Quando le cose si mettono male Meloni ricorre al suo mix preferito: rabbia e vittimismo.

Vittimismo investigativo

(di Andrea Sparaciari – lanotiziagiornale.it) – Ci sono giornate nelle quali sarebbe molto meglio rimanere a letto. Fingendosi morti. Giovedì scorso per il/la premier Giorgia Meloni è stata una di quelle giornate. Nell’arco di 24 ore ha infatti avuto la consapevolezza (anche se per molti non era un mistero) di contare poco meno di zero nelle grandi manovre europee e che, grazie all’inchiesta di Fanpage, i suoi virgulti di Gioventù Nazionale sono un bel mix di antisemitismo, razzismo, nostalgie di tempi bui e idolatria di terroristi stragisti. Diciamocelo, neanche questo era proprio uno dei misteri di Fatima…

Tranne forse per la deputata di religione ebraica Ester Mieli, eletta proprio nel partito di Giorgia, che evidentemente non si è mai resa conto di quanto i giovani meloniani fossero inclini al “Sieg Heil” e al “Duce, Duce”. Circa l’irrilevanza in Europa, Giorgia-madre-donna-cristiana ha fatto quello che ha potuto, al motto del credere, obbedire, abbozzare…
Su Fanpage, invece, ha attaccato.

E come sempre, quando le cose le vanno male (piuttosto spesso ultimamente), ha scelto il suo mix preferito: rabbia e vittimismo: “Non si è mai ritenuto di infiltrarsi in un’organizzazione politica, riprenderne segretamente le riunioni”, ha urlato contro i giornalisti. Per poi aggiungere: “In altri tempi questi sono i metodi che usavano i regimi”. Infilando un memorabile filotto di baggianate.

In democrazia il giornalismo ha il compito di portare alla luce ciò che il potere vuole tenere nascosto, altrimenti è servilismo. Almeno che alla premier non dispiaccia la categoria del giornalismo sdraiato. In democrazia, le inchieste – specialmente quelle under cover – fanno cadere gli esecutivi. Di solito.

Perché in democrazia i governi hanno il dovere di tutelare il diritto dei governati ad essere informati correttamente. E non il diritto di sottoporre i media pubblici al controllo di Stato. In democrazia, in definitiva, sono i giornalisti che si occupano del potere, non certo il contrario. Perché quello sì che sarebbe un regime. Lo chieda la premier ai suoi ragazzi di Gioventù Nazionale. Magari glielo confermeranno.