(di Michele Serra – repubblica.it) – Non è da ieri, nemmeno dall’altro ieri che mezzo mondo manifesta grande preoccupazione, e scoramento, per la ricandidatura di Joe Biden, che ha 81 anni ma ne dimostra parecchi di più. Lo scontro elettorale dell’altra notte ha solo reso ufficiale ciò che da tempo è sotto gli occhi di tutti.

Ho letto tutti i possibili articoli e interventi e analisi, nell’ultimo paio d’anni, per capire come sia possibile che niente e nessuno riesca a evitare che mezza America sia costretta a votare per un signore degnissimo, ma ormai fuori uso.

Non ho trovato risposte all’altezza della domanda, nel senso che qualunque risposta “tecnica”, o formale (tipo: se non si ritira lui, non c’è niente da fare) è comunque un invito ad allargare le braccia, come se “la più grande democrazia del mondo” fosse inchiodata a un destino che nemmeno la più piccola democrazia del mondo accetterebbe per se stessa: affidare il proprio futuro al duello tra un demagogo mentitore, che sta alla democrazia come un bazooka sta a una scuola elementare, e un anziano poco lucido e poco energico.

Che cosa contano, al di là della retorica, i rispettivi partitoni, attori molto teorici del bipolarismo e della celebre democrazia americana? Che ne è dell’aura dinamica e scintillante che avvolge da due secoli quel Paese, è stata data in esclusiva a Wall Street e agli ex giovani miliardari di Silicon Valley?

Ditemi, stando alla storia recente delle democrazie, uno scontro elettorale più mortificante, più inverosimile, più triste di quello che si prepara in novembre negli Stati Uniti. E ditemi se non è un sintomo, forse il più clamoroso, del collasso dell’assetto mondiale nel quale siamo cresciuti.