(di Michele Serra – repubblica.it) – Sono abbastanza confortanti, e anche piuttosto divertenti, le difficoltà che i vari partiti sovranisti europei incontrano per costituire, a Bruxelles, un gruppo parlamentare che, raggruppandoli tutti, sia il più vasto e influente possibile. Pare, ad esempio, che dove siedono i nazionalisti rumeni non vogliano sedere i nazionalisti ungheresi, e viceversa: si contendono la Transilvania e il rischio è che già alla prima riunione si prendano a sberle, che non è il modo migliore per festeggiare la nascita di un nuovo gruppo parlamentare.Il problema, a ben vedere, è strutturale, e prescinde perfino dalla questione transilvana – sulla quale comunque non è prudente scherzare visto che anche del Donbass, fino a pochi anni fa, nessun europeo, tranne gli abitanti del Donbass, sospettava l’esistenza. Il problema, dicevamo, è che una eventuale internazionale nazionalista è una contraddizione in termini. La cosiddetta “Europa delle Patrie”, contrapposta al progetto sovranazionale sul quale puntano gli europeisti più convinti, semplicemente non sarebbe più Europa, ma una specie di dopolavoro nel quale i vari governi nazionalisti si ritrovano ogni tanto per fare quattro chiacchiere, ciascuno nella propria lingua, con l’interprete che cerca di sedare, all’occorrenza, le risse tra confinanti.

Nessuna legge europea, nessun valore comune europeo potrebbe avere l’adesione e il rispetto di chi si eccita solo alla vista della propria bandiera. Il nazionalismo ha dunque una debolezza intrinseca: quando varca i confini di casa in genere non è per allearsi, ma per fare la guerra. I gemellaggi tra ultrà esistono, ma sono molto più frequenti i tentativi di bastonarsi.