(di Michele Serra – repubblica.it) – Ma se uno, per esempio, considera il regime iraniano una abominevole dittatura teocratica e misogina, deve stare attento a come parla perché essere contro l’Iran vuol dire essere amici di Netanyahu? E se uno è contento della liberazione di Ilaria Salis, deve evitare di dirlo perché ogni critica al regime di Orbán è un favore al fronte anti-Putin? Se le due domande vi sembrano capziose, insensate o addirittura sceme, sappiate che lo sono.

Ma sappiate, anche, che se le fanno in parecchi, nelle peggiori chat nelle quali la politica mondiale è riassunta in formulette esplicative che non spiegano niente, ma servono allo spiegatore per sentirsi scafato. Lui/lei sa le cose che noi non sappiamo, ha capito le cose che noi non capiamo.

La newsletter di Stefano Cappellini sugli esaltati che considerano il caso Salis “montato dalla Cia” (e dunque gli elettori di Avs complici dei guerrafondai che armano l’Ucraina) è una lettura sconfortante, ma necessaria. Ci tiene aggiornati sul livello della paranoia, e va bene; ma anche su quello della presunzione smisurata con la quale si digitano “rivelazioni” ridicole come se fossero la ricetta di una pastasciutta: uno, due, tre, il mondo è pronto in tavola.

Nel caso (remoto) che uno di questi intossicati dal complottismo voglia curarsi, l’antidoto è uno solo: le azioni umane si giudicano caso per caso, non sempre esiste correlazione tra una porcheria e l’altra, non sempre un sopruso ne giustifica un altro, o lo rimedia. Siamo chiamati a dire “non è giusto” ogni volta che una cosa non ci sembra giusta, chiunque ne sia l’artefice.

Sembra facile, detta così. Ma evidentemente non lo è: una cosa è giusta o ingiusta a seconda che rientri nello schemino della mia chat preferita.