(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Aiutatemi a capire. Ma il tricolore che quell’esponente dell’opposizione ha cercato di avvolgere al collo del ministro Calderoli, scatenando il parapiglia che sapete, non è lo stesso tricolore che sventolano alcuni partiti del governo di cui Calderoli fa parte, per contrapporlo al blu tecnocratico della bandiera europea?

Chi carica come un toro appena vede il vessillo verde-bianco-rosso brandito nelle aule parlamentari dai suoi avversari è o non è parente stretto di chi quel vessillo lo espone con polemico orgoglio nelle piazze e contro quegli stessi avversari? 

Ho capito: il tricolore è buono o cattivo a seconda del punto di osservazione. Se lo guardi da destra, è buono quando serve a distanziarti da chi vorrebbe meno Italia e più Europa. Se invece lo guardi da sinistra, è buono quando serve a distanziarti da chi vorrebbe meno Italia e più Veneto o Lombardia.

Chiaro, chiarissimo. Stesso discorso per l’inno di Mameli. A sinistra suona provocatorio se a cantarlo sono quelli di destra contro l’Europa Federale. Ma suona provocatorio anche a destra, se a cantarlo sono quelli di sinistra contro l’Italia Federale. Perché, salvo limitate eccezioni (il Risorgimento fu fatto da una minoranza, nella sostanziale indifferenza degli altri italiani), il nostro è sempre stato il Paese del patriottismo prêt-à-porter. Lo si indossa al bisogno, di solito per sbatterlo in faccia a qualcuno. Ma non si vede l’ora di rimetterlo in naftalina, appena c’è il cambio di stagione.