(Giuseppe Di Maio) – Il Movimento 5 Stelle nacque da uno scontro di Grillo con il Partito Democratico, e proseguì con l’idea di sostituire la sua classe dirigente. Un’idea non dichiarata ma perseguita concretamente fino a che non cadde l’ultimo governo Berlusconi. La destra era senza un leader. Un enorme bacino di elettori reazionari si rendeva disponibile a seguire piazzisti di ogni genere. A Grillo venne in mente di costruire un movimento che potesse inglobare tutti e mirare alla maggioranza assoluta. Questo è stato l’inizio, ed è stato anche il peccato originale di un’idea che già alla nascita era cambiata: una cosa è essere quelli che rimuovono una dirigenza traditrice, un’altra è quella di prendere tutti. Quei tutti furono chiamati “anime”, una pesca di idee e di personaggi così vasta da ammettere tutto il contrario di tutto, come si dice da quando Di Pietro sdoganò l’espressione.

Col tempo però il Movimento si è andato affinando. Alle elezioni del 2013 entrarono in Parlamento un marea di sconosciuti (sconosciuti a loro stessi), che si obbligarono ad una convivenza e a un confronto di idee sulla società e sull’organizzazione politica. Molto lentamente, e a prezzo di gravissime contraddizioni, le idee o le anime egemoni divennero quelle social-progressiste. Quando il Movimento di Di Maio imbarcò un personaggio come Conte, l’orizzonte dei 5 Stelle si ridusse ancora di più. Dopo le esperienze castranti con la lega e col PD, non restarono altro che i successi governativi conseguiti dell’avvocato foggiano, a cui, di lì a poco, fu affidato il compito di prendere in mano l’organizzazione politica. Nel già dominante panorama radical-progressista si inserì una idea più chiara e metodica portata dal nuovo leader. Le  vaghezze del Movimento (le anime) si sono dovute progressivamente arrendere a obiettivi fissati nello Statuto e votati dalla rete.

La realizzazione dei sogni corrisponde sempre a una perdita di consensi; ogni anima sentendosi personalmente tradita abbandonava il M5S che giudicava persino traditore. Ma non era il Movimento ad aver tradito, erano loro che ormai avevano sbagliato partito. L’ultimo atto di questa rifondazione sarebbe dovuto essere quello della dichiarazione definitiva delle ragioni e degli obiettivi strategici: la sostituzione della classe dirigente del PD e della sinistra intera, ovvero il rispristino degli scopi per cui era nato il M5S e che si sarebbe apprestato a seguire in futuro. È qui che il Movimento ha registrato la sua fine. È qui che ha mostrato l’incapacità dei suoi leader di svelare le vere intenzioni e di mettersi in guerra con coloro che giudica ancora alleati. La lacerazione tra gli obblighi frontisti (battere le destre) e la propria missione (essere il loro unico antagonista) ha reso evanescente il suo messaggio politico. Il PD, intanto, lo ha attratto nell’orbita delle sue ragioni, tenendolo a bada con tutto il peso del suo potere mediatico, e lo sta dissolvendo.