(di Michele Serra – repubblica.it) – Sul suicidio di massa degli europeisti di centro (Calenda/Renzi/Bonino) si è scritto tanto. Mi ha molto colpito che anche gli antipatizzanti — Renzi ne conta una moltitudine, Calenda meno, Bonino pochi — non abbiano voluto infierire, tale è stata la catastrofe. Rari i commenti sprezzanti o aggressivi, prevale un tono desolato, come ai funerali. Partecipo al lutto, ma mi concedo, in disparte, una nota severa.

I tre driver di questo incidente meriterebbero una class action dei loro elettori (un milione e settecentomila!) che pur pensandola più o meno allo stesso modo, pur occupando un’area politica omogenea, pur avendo, nei confronti dell’Unione Europea, le stesse intenzioni amichevoli e incoraggianti, hanno visto i loro voti andare al macero.

Lo si sapeva perfettamente anche prima, che con lo sbarramento al quattro per cento contendersi separatamente lo stesso bottino di voti era insensato. Lo si sapeva anche prima, anzi lo si sa da sempre, che la parola “io”, in politica, spesso confligge con la parola “noi”. La boicotta e la demolisce. Dunque non ci sono scusanti. Specie di questi tempi disfatti, gassosi, l’istinto non può che essere fare gruppo, superare gli intoppi della vanità, cercare di mettere insieme le forze.

Il discorso vale, naturalmente, anche per i santoriani (Paolo Rossi, amico mio, ma chi te l’ha fatto fare?), che però hanno un’attenuante: erano pochi, soli e perdenti già in partenza. Non avevano nessun patrimonio da dilapidare, al massimo qualche voto da spillare a Conte o a Fratoianni. Possibile che sia così difficile capire che la politica è una cosa che si fa in tanti, oppure è meglio non farla?