IL VOTO DELL’8-9 GIUGNO – Il blocco politico che governa l’Europa, pur contando eletti di schieramenti diversi, è allineato con Usa e Nato. Chi contesta la linea è considerato ostile: solo gli elettori possono cambiare questo destino

(DI BARBARA SPINELLI – ilfattoquotidiano.it) – Per molti elettori non sarà semplice scegliere e votare alle elezioni europee dell’8-9 giugno. Gran parte delle nostre leggi sono co-decise dal Parlamento europeo, assieme a Commissione e Stati membri, dunque il voto non è inutile.
Ma sulle due questioni oggi vitali – la guerra che rischia di divenire mondiale, il collasso climatico – esiste ormai in Europa una sorta di partito unico, che mette sullo stesso piano Unione e Nato e che non cambierà affatto fisionomia, se l’attuale maggioranza dovesse estendersi ai conservatori di Giorgia Meloni. Non cambierà neanche se sarà abolito il diritto di veto nelle decisioni Ue. I governi dell’Unione, quasi all’unanimità e ignorando i propri popoli, non sembrano temere la guerra, neanche nucleare.
Per forza di cose, il partito della guerra non sarà neppure in grado di frenare il collasso del pianeta, perché se davvero volesse farlo dovrebbe promuovere la collaborazione pacifica e il disarmo fra i massimi inquinatori: Cina, Usa, Ue, India, Russia. Se volesse farlo, riproporrebbe l’ordine europeo e internazionale immaginato nel brevissimo intervallo temporale fra caduta del Muro e scioglimento dell’Urss, quando Gorbaciov propose una Casa Comune Europea e fu sottoscritta la “Carta di Parigi per una Nuova Europa”, nel novembre 1990. I principali firmatari della Carta erano Gorbaciov, George Bush sr, Kohl, Mitterrand e Andreotti per l’Italia. “Era quel periodo benedetto in cui il mondo sembrava un posto abbastanza sicuro, tra la fine della Guerra fredda e circa dieci minuti dopo”, scrive Mick Herron nel romanzo Slow Horses: Un Covo di Bastardi.
L’avvento del partito unico della guerra ha imbastardito il dibattito politico e la campagna elettorale in tutti i Paesi europei. Chi si oppone all’invio in Ucraina di armi sempre più offensive e alle ripetute sanzioni contro la Russia (13 “pacchetti” di misure restrittive, che dal 2022 hanno penalizzato più l’Unione che Mosca) riceve lo stigma di putiniano o sovranista o antieuropeo. Chi auspica collaborazioni con Pechino è accusato di ostilità verso Taiwan e complicità con la repressione cinese di uiguri e tibetani. Chi condanna lo spopolamento sanguinario di Gaza attuato dall’esercito israeliano – sempre più simile a un genocidio, visto che i palestinesi sono stati intrappolati nella Striscia senza via d’uscita – è tacciato di antisemitismo e antisionismo, come se i due termini fossero identici e anche quando vien condannato l’eccidio del 7 ottobre. La maggior parte dei governi Ue, compreso il nostro, si rifiuta di riconoscere lo Stato palestinese.
In questo modo sono stati denigrati i dissidenti in campagna elettorale: il Movimento 5 Stelle e quello di Michele Santoro in Italia, la sinistra di Mélenchon in Francia, Podemos in Spagna, l’Alleanza di Sahra Wagenknecht in Germania. Sulla guerra, è più che mai difficile distinguere fra ex sinistra, centristi, destra dei Popolari (Forza Italia), Conservatori (Meloni), e Verdi, specie tedeschi.
Il caso più spettacolare è quello francese. Il Partito socialista ha scelto come capolista un neoconservatore fervente: Raphaël Glucksmann caldeggia un’economia di guerra, una resa dei conti militare con Mosca, un fondo comune europeo per la difesa pari a 100 miliardi, e il sequestro non solo dei profitti ma della quasi totalità dei fondi russi congelati nelle banche europee (“206 miliardi di euro, da indirizzare alla resistenza ucraina”).
Alla pari dei neoconservatori Usa e di parte dell’Amministrazione Biden, il capolista sorvola sullo spopolamento di Gaza e preconizza uno scontro duro con la Cina di Xi Jinping. Gli appelli dei socialisti europei alla preservazione dello Stato Sociale, al salario minimo, all’estensione delle spese sanitarie e sociali, a politiche più accoglienti dei migranti, sono vuoti di sostanza se tutti i soldi e gli investimenti andranno all’economia di guerra e all’Europa della Difesa. Glucksmann potrebbe esser scelto dall’ex sinistra francese come candidato alla successione di Macron, nel duello del 2027 con l’estrema destra rappresentata oggi da Marine Le Pen: tanto vicina è la visione geopolitica socialista a quella dell’attuale presidente. Macron è addirittura accusato di aver troppo a lungo temporeggiato, all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, quando suggerì ai partner occidentali di “non umiliare Putin”.
Se menzioniamo l’esempio francese, è perché la strategia Usa su Ucraina e Russia è attuata con un retropensiero a proposito dell’Europa. L’egemonia esercitata dalla Germania sull’Unione europea è stata in questi due anni scalzata, la sua dipendenza dal gas e petrolio russo quasi azzerata, il suo peso economico e geopolitico grandemente ridotto. Anche con questo scopo sembra esser stato distrutto il gasdotto North Stream 1 e 2, per mano ucraina e/o statunitense.
Il vuoto tedesco è stato riempito progressivamente da Macron, che tra il 2023 e il 2024 ha moltiplicato i rapporti con il fronte degli Stati più anti-russi, nel Nord e nell’Est europeo, e con il Regno Unito fuori dall’Unione. L’Ungheria di Orbán non fa parte del fronte e mette in guardia contro un’Europa “pronta a entrare in guerra contro la Russia”. Il guaio è che le sue critiche colpiscono anche le politiche Ue sul clima, nel frattempo comunque molto annacquate.
In Italia, il Pd di Schlein è diviso sulle guerre in Ucraina e Palestina. La segretaria vorrebbe un ricollocamento a sinistra del partito, e forse per questo ha candidato oppositori della guerra come Marco Tarquinio, che comprensibilmente propugna anche lo scioglimento della Nato, considerata la scomparsa del Patto di Varsavia fin dal ’91. Resta che gli eurodeputati Pd hanno approvato sempre più compattamente le numerose risoluzioni militariste e antirusse del Parlamento. I voti contrari sono stati due o tre, sino a scomparire del tutto.
La parola d’ordine dell’Unione è mutuata da Washington e dalla Nato: invocata non è la “sovranità europea” usata come maquillage da Mattarella e Macron, ma l’ordine internazionale basato sulle regole (rules-based international order). Le regole sono fissate dal Paese che più le ha infrante dal 1947 in poi: gli Stati Uniti e il suo occulto apparato militare-industriale. Le ha infrante tramite minacce, sanzioni, interventi militari, cambi di regime, in un pianeta che pretende di governare da solo – dopo la fine dell’Urss – e che non riesce più a dominare. In Europa ha violato tutte le promesse fatte a Gorbaciov, programmando l’estensione della Nato fino alle porte della Russia (Ucraina e Georgia).
L’Europa tace e acconsente, agendo contro i propri interessi con fervore crescente e senza investire nell’ordine multipolare che sta nascendo. Ursula von der Leyen, bellicosa presidente della Commissione Ue, è alla testa del partito unico della guerra. Le cose rischiano di non mutare se Mario Draghi prenderà il suo posto. Su questo si deciderà l’8-9 giugno e nei prossimi anni: se al declino dell’unipolarismo Usa s’accompagneranno il declino e la servitù dell’Europa unita oppure no.
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Il prof Orsini a Firenze per Santoro Pubblicato il 1° giugno 2024
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Francesca Fornaio per Santoro
Le nostre guerre giuste, pubblicato ieri
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dopo aver pubblicato qualcosa sugli orazi e sui guelfi, ti spiace pubbicare anche qualcosa sui curiazi e sui ghibellini?
Almeno fai informazione e non propaganda
Grazie
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l’informazione la puoi trovare su tutti i giornali e tv di regime,
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Santoro non vuole la guerra, ma vuole restare nella nato, faccia pace col cervell@, o almeno non ci prenda in giro.
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Ecco…..
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Nulla si può fare quindi per bloccare i guerrafondai e compagnia cantante!
Non so chi votare a questo punto.
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Cominciamo col dire che 23 delle 27 nazioni che compongono l’unione europea sono anche membri NATO; quindi dire che l’unione europea appoggia la NATO e’, al netto di Austria, Cipro, Irlanda e Malta, un’ovvietà.
Poi c’è il ruolo un pò particolare dell’Ungheria che è membro NATO ma cerca di non inimicarsi la Russia.
Fermo restando che mi auguro di tutto cuore che questa guerra finisca il prima possibile, anche per ragioni personali; non si può scrivere un articolo dove i temi di carattere economico, geopolitico, di sicurezza, sono così intrecciati senza farne menzione fatto salvo per la storia ormai trita e ritrita degli USA che ne hanno fatte di cotte e di crude, che i valori di democrazioa, di stato di diritto sono diventati opzionali; questo lo sappiamo già.
Che l’unione europea nel dare il suo appoggio all’Ucraina ci stia perdendo economicamente è tutto da dimostrare; certamente c’è una perdita di breve periodo; vale la pena ricordare che questa vicenda ha comunque permesso all’UE di dare impulso a politiche energetiche che la rendano meno dipendente da altri, il che porta, pur se non nell’immediato, ad un migliormento della bilancia commerciale.
Ha certamente fatto da stimolo alla ricerca e all’innovazione ( tranne in una nazione a caso dove i ministri parlano con le mucche).
Ha fatto emergere in tutta la sua importanza il concetto di “bene strategico” , la vulnerabilità delle catene di approviggionamento con partener commerciali CHE SI SONO MOSTRATI INAFFIDABILI , che hanno prodotto inflazione di cui tutti si lamentano e poi ne ignorano le cause.
L’Unione Europea è un insieme di stati dove convivono aspetti di tipo cooperatvo e aspetti di tipo competitivo.
Una buona scelta da fare è quella per partiti che promuovano una maggiore integrazione; nessun partito dirà che vuole la guerra e quando si siede su alcune poltrone poi cambia improvvisamente opinione; anche questa dovrebbe essere storia conosciuta.
Pur con tutti i suoi problemi e le sue disfunzionalità l’UE è e resta per l’Italia e per gli italiani onesti l’unica ancora di salvezza contro una classe politica indecente scelta dal 50% di chi vota e con la cambiale in bianco dell’altro 50% che non vota.
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Putin: “Trump un perseguitato”. Mo’ me lo segno
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