
(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Come tutti i populisti, Nigel Farage non è la medicina e neanche la malattia, ma il termometro. Candidandosi alle imminenti elezioni inglesi, l’uomo che inventò la Brexit certifica come la destra classica, moderata nei costumi e aperta in economia, non esista più nemmeno nel Paese che ne fu la culla. La mia generazione è cresciuta con, o contro, i democristiani in Italia e Germania, i gollisti in Francia, i conservatori in Gran Bretagna e i repubblicani in America. Partiti e movimenti che, pur avendo una base popolare, rappresentavano l’anello di congiunzione tra il ceto medio e l’establishment. Erano i portavoce della maggioranza silenziosa che si faceva sentire soltanto nelle urne. Gli interpreti di una società capitalistica che riusciva ancora a garantire stipendi dignitosi e (almeno in Europa) assistenza e istruzione gratuite a quasi tutti. Adesso che quei diritti acquisiti sono diventati privilegi di minoranze anch’esse sempre più impaurite, non molti possono concedersi il lusso di demonizzare la beceraggine e la mancanza di scrupoli dei leader populisti, a cominciare da quel Trump che tutti li contiene.
Chi, pur lavorando come una bestia, fatica a mantenersi da solo — figuriamoci a sfamare una famiglia — vede nei politici tradizionali i colpevoli di questo declino e nei Farage che li attaccano i megafoni del proprio disagio. Darà retta ai populisti fino a quando avrà la sensazione che siano gli unici interessati a parlare con lui e, soprattutto, di lui.
Povero e patetico gramo
sempre in cerca di un nemico di poco peggiore di lui stesso.
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E pazienza, se Gramellini deve ancora essere informato che il ritorno della destra estrema al governo con tutto ciò che ne consegue in termini di tenuta costituzionale del paese, è il frutto velenoso del neoliberismo esasperato che ha fatto e fa tuttora parte integrante della formazione mentale e culturale del gruppo di potere, sedicente democratico, che ha imperversato per decenni in lungo e in largo. Mi riferisco al nichilismo insito nel gruppo diGerente a cui lui si richiama e di cui abbiamo avuto testimonianze lampanti nella trasmissione da lui condotta. Detto en passant, il suo collega cantante/professore è (parole sue) “affascinato dalla prosa” della Nana al governo come un soggetto preso a caso dalle folle in visibilio, immortalate dall’Istituto Luce (o DVCE?), nelle immense adunate di p.zza Venezia ai celeberrimi tempi memorabili.
Ebbene, il Gramo deve ancora sapere che il lodevole Welfare State paradossalmente partorito dal partito conservatore inglese è stato, nel corso del tempo, ridimensionato e messo in pericolo guarda caso anche dai partiti cosiddetti progressisti come il Pd italiota, a seguito della sbornia privatizzatrice inaugurata e orchestrata da Draghi sul panfilo Britannia (c’era anche Prodi quale presidente dell’IRI in svendita), fino ad arrivare alle condizioni disastrose in cui si trova oggi la sanità pubblica ereditata e persino peggiorata dall’attuale governo che ha aderito con non meno passione e vigore alla furia privatistica inaugurata in quei tempi post ’89.
Tanto da far rimpiangere con struggente nostalgia quel conservatorismo nobile richiamato dallo stesso giornalista, prima che l’accanimento neocapitalista globalizzato devastasse le ultime vestigia di quelle “magnifiche sorti e progressive” sacrificate in onore dei mitici MERCATI.
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